(A. Austini) – Letteralmente furioso. A tal punto da non voler neppure commentare la prestazione di Bologna. Rudi Garcia si è presentato a Trigoria ieri mattina con lo stesso umore della sera prima, rovinato come il campo da una pioggia incessante e dall’inspiegabile decisione dell’arbitro Rocchi di far giocare comunque la partita. Non c’è stato verso di fargli cambiare idea: ci ha provato l’allenatore insieme ai dirigenti prima e durante il match, idem i giocatori.
Detto che quando non si gioca a calcio è impossibile giudicare oggettivamente una gara, nel pareggio bagnato del Dallara c’è un aspetto preoccupante tornato alla ribalta: la Roma non sa gestire il vantaggio. E se il primo gol della partita lo segnano gli avversari, alla fine non vince. O si fa rimontare, o non completa le rimonte lei stessa. Quindi non è ancora una grande squadra.
Due successi che sembravano acquisiti e si sono trasformate in pareggi (Leverkusen e Bologna) sono costati 4 punti pesantissimi tra campionato e Champions, in altre occasioni uno o più gol di vantaggio sono stati difesi con estrema fatica e troppi brividi. Un problema di personalità e di sicurezza più che di uomini, anche se in tal senso l’assenza di Strootman pesa parecchio. Nei minuti finali si gioca con la testa. E la Roma la perde spesso. Gli indizi ormai sono tanti e messi insieme fanno una prova schiacciante. Il primo è arrivato nell’amichevole agostana con il Siviglia: da 6-0 a 6-4, un black out improvviso e 4 gol incassati in 12 minuti. Sembrava calcio «finto», Garcia aveva rivoluzionato la squadra con le sostituzioni, invece era un campanello d’allarme. Poi, in serie: da 2-0 a 2-1 contro laJuve dominata per 87 minuti e vicinissima al pareggio nel finale, l’1-0 gestito con apprensione aFrosinone fino al raddoppio allo scadere di Iturbe, il gol concesso al Carpi che poteva segnarne subito un altro, le due reti prese a Palermo in una partita che sembrava chiusa al 45’. Stesso copione nelle tre successive: Empoli, Fiorentina e Udinese hanno accorciato le distanze. Tutte reti «innocue» ai fini del risultato, a differenza della follia di Leverkusen: quel 4-4 è il manifesto della fragilità romanista. Al ritorno solo il rigore di Pjanic ha evitato la replica di un film che inizia a diventare noioso.
Il derby chiuso con la porta inviolata (l’unica altra volta in stagione è successo a Frosinone) poteva rappresentare un nuovo inizio all’insegna della solidità e invece il pari di Bologna ha fatto riemergere il difetto di tenuta dei giallorossi: all’87’, dopo una rimonta conquistata col cuore su quel campo indecente, Torosidis ha commesso un’ingenuità imperdonabile sfruttata poi da Destro. Il gol dell’ex ha confermato un altro trend negativo: tutte le partite in cui la Roma si è trovata sotto di un gol non le ha mai vinte. Pareggi con Verona, Sassuolo, Bologna, Barcellona e Bayer Leverkusen in Germania, sconfitte con Sampdoria, Inter e Bate Borisov. Di contro, ogni qual volta i giallorossi hanno segnato per primi sono riusciti a portare a casa i tre punti.
Le conseguenze della discontinuità si vedono in classifica. La squadra di Garcia, che a inizio mese guardava tutti dall’alto in basso, adesso è scivolata al quarto posto, a -3 dall’Inter capolista, sorpassata dal Napoli e ancora alle spalle della Fiorentina, con la Juve che si avvicina minacciosamente a -6. Ma lì davanti restano tutte raccolte in tre punti, il campionato è più incerto che mai e la quota scudetto sembra sensibilimente più bassa rispetto agli ultimi anni.
Ora c’è la Champions: domani a Barcellona la Roma scenderà in campo provando quantomeno a limitare i danni contro i marziani di Luis Enrique. La qualificazione passa nelle altre gare del girone.