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LA REPUBBLICA Roma, c’è la trappola Atalanta. Garcia non può più sbagliare

Dzeko
Dzeko

(M. Pinci/E. Sisti) Garcia sì, Garcia no, Garcia chissà chi lo sa (che cosa succederà): «Siamo arrabbiati in modo non quantificabile», ammette il tecnico giallorosso che forse si sarà pentito di aver detto che prendere sei gol è come prenderne uno, come se la vita si potesse sempre riassumere con i tre punti, o gli zero punti, saltando a piè pari il terribile “fall out” che un disastro numerico inevitabilmente colpisce società, giocatori, pubblico: la black rain della vergogna è più velenosa laddove non sia riconosciuta. «Spero che torni la Sud», aggiunge il tecnico aspettando l’Atalanta.

Oltre i disagi tattici e mentali, soprattutto difensivi (si pensa a Juan Jesus) la Roma deve infatti continuare a fare i conti con la protesta della curva che forse anche oggi proseguirà nel farsi gli affari suoi lontano dall’Olimpico (o forse no?). L’Atalanta di Reja è strutturata ben al di là della recente sconfitta casalinga (Torino). Si difende senza nascondersi e in attacco ha giocatori (Gomez) che storicamente creano fastidi ai giallorossi. La Roma che ritrova De Rossi (è un momento in cui c’è bisogno di identità) non può distrarsi, deve restare concentrata e massimamente corta, attiva in ogni angolo e ad ogni minuto, e non dimenticare mai di assecondare Dzeko, non farlo sentire un E.T. allungato, abbandonato laggiù. «Quando giochiamo motivati e tutti si aiutano la difesa funziona (vedi Lazio, ndr). In ogni caso sarei contento di vincere tutte le partite 3-2. Avere il migliore attacco della Serie A comporta dei rischi». Non quello però di compromettere l’equilibrio. Obbligata a giocare senza Salah né Gervinho, la Roma dagli attributi intermittenti (Pjanic appare stanco), non potendo permettersi una “personalità” stabile deve affidarsi a “persone” pronte a candidarsi ad averne una prima possibile, meglio se più d’uno. Tra i sacrifici di Florenzi, le punizioni di Pjanic e la solitudine di Dzeko, l’importante è provarci e non sbagliare.

Pare facile. Può aiutare il fatto che la manifestazione più umanamente sportiva, o sportivamente più umana, della trasferta di Barcellona sia arrivata (tardi ma è arrivata) con le parole del dg Baldissoni («chiediamo scusa, siamo stati imbarazzanti»), parole che hanno chiuso giorni in cui l’orchestra sembrava aver smarrito anche l’ombra degli spartiti. Non c’è niente di male a riconoscersi piccoli, anzi, si rischia di apparire più veri e combattivi. Non era da Roma quel rincorrersi di accordi sbagliati, non degno d’una squadra che malgrado la compulsiva discontinuità (unita al sospetto che valga più di quanto sembri e qui torna in ballo Garcia) è a un passo dagli ottavi di Champions e in serie A, pur quarta, è abile negli scontri diretti (perso contro Inter, vinto contro Fiorentina, Juve e Lazio). Il tempo e il campionato passano, il Bate incombe, il resto (per ora) non conta.

 

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