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LA REPUBBLICA Roma, Dzeko e Gervinho firmano il derby senza curve. Lazio spenta e arrabbiata

gol Gervinho
gol Gervinho

(E. Sisti) – E’ Roma, una Roma corta, cattiva, che ringhia nei punti più disparati, che trova la luce nel sacrificio dei suoi piccoli ma grandi attori di giornata, come Rüdiger, tosto al punto da schiantarsi contro un palo e mettere a rischio più la vita del palo che la sua (tutta la porta vacilla a lungo), o come l’inatteso Vainqueur, finalmente protagonista, sempre al centro delle discussioni più importanti, quando c’era da far muovere palla e avversario: è una Roma formato Firenze, rapida, raccolta, senza fronzoli, quella che lentamente sposta la lancetta del derby dalla sua parte, impedendo alla Lazio ogni sortita ragionata o prolungata, mettendo bavagli alle fasce, dove Candreva ne approfitta per confermare il suo inaccettabile stato di forma e dove il solo Anderson, per tre volte, ma in un arco di tempo infinito, riesce a colpire una traversa nel primo tempo (bellissimo gesto) e a far ammonire Vainqueur e Digne nel secondo.

Gocce in un deserto d’inventiva e lucidità complessiva. Ma sia chiaro: è stata la Roma a costringere la Lazio a guardarsi allo specchio e a scoprirsi molle e sdentata, incapace di misurarsi contro un gruppo che la pressava alta, minacciando in continuazione i suoi fragili portatori di palla. La Roma ha vinto come squadra e come singoli. Dove la Lazio sbagliava passaggi elementari e fluiva lentamente, passiva e stordita, alla congrega capitanata da un Nainggolan tornato ai livelli di un anno e mezzo fa e per la prima volta con la fascia al braccio, padrone assoluto dei palloni vaganti, creatore e distruttore, veniva facile offrirsi a ventaglio (pur nello scenario desolante di uno stadio mezzo vuoto e di cinque Daspo comminati), aprendosi e chiudendosi, impedendo, esattamente come a Firenze, che i suoi rivali avessero prima lo spazio e successivamente la voglia di esprimersi con adeguata qualità e relativa sostanza. Il meglio della Lazio è stato Anderson intermittente e un po’ di Keita nella ripresa, ma a giochi fatti. Il peggio nell’imprecisione madornale di Biglia, nella lentezza di Parolo e nei nervi inconcludenti di Radu e Lulic (per il suo brutto intervento sulla caviglia destra di Salah, l’egiziano è tornato a casa in stampelle). Per non parlare dell’assente Djordievic. Il meglio della Roma, che non ha avuto un peggio, s’è manifestato subito e ha avuto effetti contagiosi per l’intera partita su ogni singolo elemento, ogni secondo una lotta, ogni metro d’erba un raddoppio.

Pur senza Pjanic la Roma ha avuto testa dall’inizio alla fine e nessun biancoceleste, nemmeno Pioli, ha trovato l’uscita dall’imbuto. Al rigore precoce trasformato da Dzeko (il fallo di Gentiletti era iniziato fuori area), hanno fatto seguito costanti e inquietanti presenze giallorosse al limite dell’area biancoceleste, protrattesi sino alla fine, con un crescente stato di confusione provocato deliberatamente. Pochi tiri laziali, molte occasioni per la Roma, a campo aperto o nello stretto. Due pali, oltre Anderson anche Nainggolan. La Roma ha avuto punte d’eccellenza in Manolas, Rüdiger, nel belga e nello spettacolare Gervinho, anche lui restituito a una dimensione intollerabile per gli avversari. Il doppio show dell’ivoriano nella ripresa è stato emblematico: prima stop a seguire nella prateria di fascia, due minuti dopo, per ribadire il concetto, taglio centrale sulla verticalizzazione di Nainggolan, bruciato Basta, tutto a una velocità incontrollabile. Il derby finisce lì.

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