(S. Carina) – A Trigoria il tempo dell’ironia è finito. Per alcuni dipendenti, che dopo il derby si divertivano a twittare la frase «la coperta è corta», e anche per Sabatini. Appena 20 giorni fa (11 novembre) il ds si era scagliato tra il divertito e il piccato verso chi gli faceva notare come la rosa della Roma fosse incompleta: «Ancora con questa storia della coperta corta? Basta, fatela finita!». Aveva poi ricordato ai critici l’«incommensurabilità» di Maicon, l’«affidabilità» di Torosidis, rimarcando come Florenzi fosse «meglio di Dani Alves. Sono i media che hanno deciso che non può giocare terzino. Io e l’allenatore sì». Detto che la prima scelta di Garcia quando arrivò a Roma fu quella di alzare il centrocampista nel tridente offensivo, l’epitaffio alle sue convinzioni sono arrivate domenica. Prima in campo e poi fuori: «Digne e Florenzi sono ali, non terzini. Proprio per questo avevamo preparato la gara con i tagli di Moralez e Gomez». Firmato Edy Reja.
RETROMARCIA L’11 novembre, Sabatini disse anche che la Roma non sarebbe tornata sul mercato. Domenica, frastornato come i ventimila silenziosi dell’Olimpico, ha fatto marcia indietro: «Fino a ieri pensavo fosse inutile intervenire, oggi sto facendo valutazioni diverse». Forse si è reso conto che oramai Maicon di incommensurabile ha soltanto il nome. O che Torosidis, buon rincalzo, tale deve rimanere. Perché se viene impiegato con frequenza, poi incorre in errori tipo Verona (gol di Jankovic), Sassuolo (trasformando per un giorno Politano in Messi), Leverkusen e Bologna (due rigori che gridano vendetta). Si è forse convinto che Digne, sarà anche «invulnerabile» ma prima o poi dovrà rifiatare. Perché altrimenti accade, come domenica, che basta un Moralez inspirato per mandarlo in tilt. Senza contare che Florenzi è così bravo che con un paio di allenamenti in più potrebbe giocare anche in porta, ma non vuol dire che debba fare il portiere.
UGUALE A SE STESSA Dall’1-7 col Bayern Monaco all’1-6 del Camp Nou, a Trigoria – nella migliore delle ipotesi – sembra sempre tutto uguale a se stesso. L’allenatore che sa giocare soltanto sfruttando la velocità dei suoi centometristi (all’epoca c’era il solo Gervinho, ora c’è anche Salah) e che per di più, da quest’anno vive limitato nel suo raggio d’azione agli occhi del gruppo. La società gli ha imposto il preparatore atletico e lo staff medico; il ds non perde occasione per ribadire come i calciatori li scelga lui e come spesso non sia d’accordo con le sue decisioni; e anche il presidente Pallotta (che non mette fisicamente piede a Trigoria dal 28 febbraio) ha pensato bene nell’incontro di giugno di lasciargli intendere come la squadra che stava nascendo l’avrebbe potuta allenare anche lui. Una diminutio su tutto. Ma che il tempo trascorra ciclicamente, ci sono anche alcune scelte del club. Che prova ad imporsi con i calciatori ma che poi partorisce sempre decisioni a metà. Un esempio? Lo scorso anno era stato varato il ritiro a singhiozzo: un giorno sì, un altro no. Ieri– in previsione della gara di sabato a Torino – anziché mandare subito la squadra in ritiro, si è scelto di farlo da giovedì. Punitivo quindi, ma non troppo. Si ripetono anche le dichiarazioni. L’11 settembre del 2014, Sabatini dichiarò che aveva ceduto Dodò «per salvargli la vita, perché qui era sempre bastonato dalla critica». Domenica il ds ha concesso il bis con Iturbe. Anche lui partirà perché «vorrei salvargli la vita». Non cambiano nemmeno i risultati. Anzi quelli sì: 5 punti in meno rispetto alla passata stagione, 7 a due anni fa. Con l’aggravante, in un campionato da vincere, di aver fatto rientrare in gioco anche la Juventus, ora soltanto a 3 punti dai giallorossi.