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IL MESSAGGERO Una Roma capovolta

Dzeko
Dzeko

(U. Trani) – Pollice verso. L’Olimpico, e non il Colosseo come idealizzato da Pallotta, ha condannato la Roma di Garcia. Eppure i gladiatori giallorossi non sono stati sconfitti dal Bate Borisov. Anzi sono entrati tra le migliori 16 d’Europa, prima volta per il presidente e l’allenatore, loro sì felicissimi per l’impresa che i tifosi hanno però bocciato. Non li accontenta più nemmeno la qualificazione agli ottavi di Champions. E, ovviamente, neanche il 4° posto in classifica, a 5 punti dall’Inter e, quindi, ancora con ampia vista sullo scudetto. Alla spocchia dirigenziale e tecnica, convinta di fare il meglio in Italia e sul pianeta, ormai si oppone la sfiducia popolare. Di società e squadra non piace più niente a nessuno. La gente si sente tradita dall’Idea. Che è svanita nel nulla. Restano le chiacchiere, sul progetto e sul gioco.

GIÙ LA MASCHERA La Sud non c’è più. L’hanno messa alla porta. Ma proprio la Curva, all’alba dello sbarco americano, scrisse a chiare lettere: mai schiavi del risultato. La tifoseria sposò la svolta epocale che è però presto evaporata. Proprio Pallotta, e con lui i non improvvisati suggeritori di Trigoria, ha esaltato il passaggio del turno. Loro sì schiavi del risultato (la qualificazione) e del ricavato (13 milioni). Dopo aver spinto e convinto la gente a guardare al Bello, a volare alto e a uscire dal GRA, loro sono rimasti sul marciapiede sotto casa, con i piedi per terra. Lo 0 a 0, uscito sulla ruota di Roma dopo 34 match, va benissimo. Complimenti a Garcia e ai calciatori. Bravissimi alla meta. Anche se il francese ha perso la metà delle gare in Champions (12 su 24), ne ha vinte solo 4 (1 a stagione e quindi appena 2 in giallorosso), e solo al 4° tentativo è riuscito a superare la fase a gironi, con il record di 16 reti incassate (mai successo in passato a una promossa agli ottavi) e con 6 punti (eguagliato il primato negativo dello Zenit di 2 anni fa). Non importa che la squadra abbia conquistato 3 punti nelle ultime 5 gare e segnato solo 1 gol su azione (la rete della bandiera umiliata al Camp Nou dopo 6 gol presi). Avanti così. E fischiate pure, se vi va.

POPOLO DELUSO Certo che fischiano i tifosi (non gli ultrà, però: i cattivi stanno fuori, dentro ci sono le famiglie…). Perché la Roma fa piangere. Impaurita, sciatta e tatticamente inadeguata. La gente ha creduto al menù servito in guanti bianchi. E cioè: 1) lo spettacolo, l’arroganza calcistica per dirla alla Sabatini; 2) i giovani, campioni subito e non da svezzare; 3) l’unicità, di arrivare alla vittoria divertendo e divertendosi, senza appunto essere mai schiavi del risultato. Ma nessuno trova niente di tutto questo. A Trigoria e soprattutto all’Olimpico. Ogni paletto è stato divelto, come si è capito bene mercoledì sera: 1) il gioco non fa più parte del match program; 2) i ragazzi partono (da Marquinhos a Ljajic) o non ritornano (Bertolacci e Romagnoli) e restano invece i più vecchi e logori; 3) il risultato prima di tutto, a cominciare da mercoledì sera (cameriere, champagne!). L’identità non esiste. Cancellata proprio come il senso di appartenenza. Il gruppo costa sempre di più (monte ingaggi spropositato) ed è sempre meno italiano e romano. Florenzi, l’ultimo ragazzo cresciuto nel vivaio, è irriconoscibile. Fuori ruolo per il mercato sbagliato, terzino migliore del mondo per chi non accetta i fischi ma pretende solo applausi. Il costo del biglietto dà diritto esclusivamente a quelli (cit. Baldissoni).

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