(G. Giubilo) – Credo che il popolo romanista continui a sognare un finale come quello dell’ «attimo fuggente» di Robin Williams. Il «Capitano, mio capitano» che rimane nella memoria di tutti i cinefili. Sarebbe stato un degno passo d’addio, per il più grande fuoriclasse della Roma di tutti i tempi.
Purtroppo non sembra destinato a dissolversi quel cono d’ombra che avvolge questo enigmatico finale di carriera di Francesco Totti, un alternarsi di promesse, di speranze, di delusioni che sembrano non finire mai. Con tutto l’amore, con tutta la gratitudine ai quali il capitano ha diritto, l’obbiettivo comune, il principale, è il bene della Roma, che pretende chiarezza e comuni intenti di una conclusione all’insegna della ragione e della dignità.
Da mesi, ormai, si assiste a uno strano balletto, un grande campione che attende un cenno per garantirsi ancora una parentesi importante in giallorosso. E una società che deve riflettere con attenzione prima di cedere agli impulsi del cuore, nei confronti di un campione che attualmente è il quarto, in grado di anzianità, tra i veterani in attività nei principali campionati europei e che questo traguardo ha raggiunto indossando sempre la stessa maglia, anteponendola nella sfera degli affetti anche a quella azzurra, con la quale è diventato campione del mondo nella magica serata di Berlino.
Comunque finisca, questa storia deve avere un seguito, o una fine nell’ipotesi peggiore, che sia limpida e non lasci né rimpianti né inutili contestazioni.