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LA REPUBBLICA Olimpico deserto, la partita è virtuale

Roma-Atalanta Curva Sud vuota
Roma-Atalanta Curva Sud vuota

(G. Cardone/M. Pinci) Capitale d’Italia e capitale del calcio. Di quello parlato, però. «Roma è una città di chiacchiere», ammoniva tredici anni fa l’allora presidente laziale Cragnotti. Chissà cosa direbbe oggi che proprio con le chiacchiere la città sembra aver sostituito l’amore per il gioco più bello del mondo. C’era una volta l’Olimpico delle bandiere e delle coreografie, degli sfottò e delle file ai botteghini pure prima di un derby da metà classifica. Ora l’immagine è quella surreale dell’ultima sfida, Roma-Lazio per pochi intimi, nemmeno trentamila persone. Mentre in quindicimila si scambiavano “like” e commenti via social nella partita virtuale, allo stadio restava soltanto l’assordante rumore del silenzio.

Lo stesso che devono aspettarsi domani Lazio e Juventus. Nei giorni in cui Cragnotti puntava il dito contro i bla bla bla capitolini, questa partita registrava 70mila spettatori trepidanti e oggi, tredici anni dopo, la miseria di 7.500 biglietti venduti: praticamente all’Olimpico potrebbero chiamarsi per nome. E quasi la metà saranno juventini, tra i 1.300 del settore ospiti, i duemila dei Distinti Est più quelli che saranno in Monte Mario. Pioli dovrà insomma giocarsi la panchina in uno stadio semivuoto e per larga parte ostile, dopo aver fatto segnare il record negativo contro il Dnipro, appena 2.942 paganti. E quattro giorni prima, in campionato contro il Palermo, erano 2.987. Ma evidentemente ai laziali non interessa, non più.

E la situazione è la stessa quando giocano Pjanic e soci. Vi ricordate il bimbo che nella pubblicità Barilla degli anni Ottanta s’emozionava quando il custode lo invitava a spegnere la radiolina per entrare allo stadio? Oggi i bimbi come lui hanno quarant’anni, la domenica restano a casa e riaccendono la vecchia radio. Il calcio a Roma, almeno dal vivo, non attira più: meglio accomodarsi sul divano e ridurre la propria passione a commenti di pancia da affidare all’etere. In città lo fanno tutti, coccolati dalle mille ore di dirette radiofoniche settimanali interamente dedicate alle squadre della capitale. Sette emittenti monotematiche ne parlano 24 ore su 24, persino i due club ne hanno inaugurate di proprie pur di esercitare un ruolo attivo nel chiacchiericcio quotidiano. E per chi non ne avesse abbastanza c’è la tv, con una dozzina di trasmissioni distribuite per tutto l’arco della settimana. Ma radio e programmi coloriti c’erano anche prima, quando lo stadio esplodeva di colori e di emozioni (pure per qualche petardo, va detto). Oggi invece l’Olimpico è abbandonato alla depressione: in un anno Roma e Lazio hanno perso 10.500 spettatori a partita. I due club insieme superano il milione di follower su twitter ma solo nell’ultima estate hanno detto addio a 5.923 abbonamenti, quasi il doppio (10.278) negli ultimi sei anni.

La sedimentazione della piazza su valori inauditi di tristezza è evidente. Pallotta fatica a nascondere la propria preoccupazione: per il disamore della gente verso la squadra, per gli scioperi dei tifosi che incidono sugli affari del club ma soprattutto sull’umore dei calciatori più importanti. Anche prima che i tifosi foderassero di carote la sua Trigoria: soltanto 60 polemici, mica un fiume di gente. L’ennesima contestazione in favore di telecamera dopo quella contro gli “11 indegni” di Formello, a dimostrazione che nemmeno le gogne ai calciatori si organizzano senza garantirsi un ritorno mediatico. Quanto passerà allora prima che Dzeko o Felipe Anderson si guardino intorno e dicano sconcertati: «Ma dove m’avete portato?».

 

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