(E. Sisti) Gervinho si fa male perché non avrebbe dovuto giocare. Per una volta Pjanic calcia una punizione per non segnare e invece Padelli lo convince del contrario spalancandogli la porta. Damato fischia un rigore che non c’è. La festa degli errori finisce in parità. Il Torino è contento, la Roma no, aveva vinto, male, ma aveva vinto. Partita mediocre. L’Armata Garcia prosegue con le sue malefatte autodistruttive, solo così riesce ad esprimere continuità, le manca il gioco, le manca il carattere, esegue micro-spartiti senza crederci e comunque non riesce mai a chiudere i discorsi (Dzeko doveva raddoppiare al 46’ st). Il pasticcio del portiere granata a sette minuti dalla fine fa indemoniare lo stadio. Partono fischi che si sentono fino a Bardonecchia. Mentre tutti odiano Padelli, tre preziosi punti brillano di giallorosso nel buio pesto di una sfida compressa nella sua povertà d’idee. Ma non è ancora finita. La Roma di questi tempi gioca contro se stessa finché non vede la doccia, c’è sempre margine. Quando Moretti butta l’ultima palla in mezzo, l’Armata dei tristi, impaurita e arretrata, compie il miracolo di confezionare l’ennesima performance da non mandare in giro per le scuole calcio per nessuna ragione al mondo: lascia che quella palla innocua, a difesa schierata, diventi una minaccia. Anziché respingerla di testa, Rüdiger si ritrova girato dalla parte sbagliata e sbaglia lo stop di petto, Belotti s’infila, Manolas tocca il pallone con la punta, l’ex-Palermo s’accascia. Per Damato è rigore. Segna Maxi Lopez, finisce 1-1, Damato e l’addizionale Fabbri contribuiscono, ma ancora una volta la Roma è obbligata a considerare sconfitte i suoi pareggi (Bologna, Leverkusen, Sassuolo, Torino).
La vita e il campo non le insegnano mai nulla, nessuno della cricca provvede a limare costosissimi difetti. Priva di fantasia, con giocatori stremati (Florenzi, Falque, Digne), e con le fasce difensive sempre più aggredibili (Pjanic andava a coprire sia Florenzi che Digne), la Roma conta su giocatori ormai slegati che si limitano a fingere l’armonia perduta, ognuno di loro gioca sotto tono a modo suo. La Roma aveva pressato alto e in parte aveva anche funzionato perché il Torino perdeva palloni in zone invitanti, soprattutto con Bovo. Eppure a casa Garcia non s’è mai vista lo stesso una sola scintilla, nessun movimento coordinato, nessuna vera propensione alla ricerca dell’altro. Rimanevano lì, nel loro torpore organizzativo, proprietari del pallone. Ma per farci cosa? Il breve sketch tra Florenzi nervosissimo (ancora una volta condannato al ruolo di terzino) e Iturbe (entrato per Gervinho di nuovo infortunato alla coscia destra) che lasciano il pallone e si allontanano entrambi è emblematico (33’ pt). A cosa stavano pensando? Forse, aspettando il Bate, sarebbe il caso di rivedere la portata delle proprie ambizioni. La Roma è questa, è la squadra che tira in porta per la prima volta al 4’ del secondo tempo (Nainggolan) e se non scattano motivazioni supplementari, se la mancanza di leadership non viene compensata dalla trance agonistica, forse più di questo non è in grado di offrire. Non sa neppure evitare che Gervinho si esponga a una ricaduta (ieri c’era un solo grado di temperatura). È trafitta al cuore dai suoi stessi limiti. Ma ormai nessuno ha più il coraggio di stupirsi.