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IL MESSAGGERO La tenera gestione di un club anomalo

Pallotta e Sabatini
Pallotta e Sabatini

(M. Ferretti) – Disgustato, James Pallotta. E non è la prima volta, a ben ricordare. Per condividere il suo disgusto, ieri Mauro Baldissoni è volato negli States. Fonti di Trigoria hanno voluto precisare, però, che la trasferta del dg aveva ed ha come oggetto lo stadio della Roma. E che era programmata da tempo, ma – in realtà – sembra essere stata anticipata di due giorni. Ciò che stupisce, al di là dei suggerimenti societari, è che in un momento delicato come questo il dg lasci la Capitale. Furibondo, raccontano. È certo, però, che Baldissoni con Pallotta parlerà anche dei continui flop della squadra e della posizione di Rudi Garcia. La Roma, si sa, è una società anomala, all’interno della quale il massimo potere in Italia ce l’ha il direttore sportivo, Walter Sabatini, che è un dipendente come lo stesso Baldissoni. Il proprietario Pallotta le ultime tre volte che è arrivato in Italia, in due occasioni non si è neppure presentato a Trigoria (ultima visita nel febbraio del 2015). Nulla di strano, assicurano dal Bernardini: ha incontrato la squadra all’Olimpico in occasione di Roma-Bate Borisov. In un club normale, però, fa notizia se/quando un presidente non va al campo; nella Roma, invece, se/quando il massimo dirigente ci va. E, ne converrete, qualcosa non quadra. Perché in momenti come questi (non solo in momenti come questi, però) ci vorrebbe in sede e nello spogliatoio qualcuno che faccia la voce grossa, che inchiodi tutti i suoi dipendenti (dirigenza, staff e squadra) alle proprie responsabilità, se non altro in virtù dei loro scintillanti stipendi. Alla Roma, invece, tutto questo non accade. Non è mai accaduto. E, per dirne una, anche la decisione di un ritiro punitivo diventa una storia infinita. Sì, no, forse, chissà.

I LIMITI DEL DS Sabatini è un ottimo operatore di mercato, i suoi amici sostengono che sia il migliore al mondo ma come direttore sportivo, e con mansioni da presidente, probabilmente deve ancora migliorare. Troppo morbido, l’accusa più ricorrente. Ecco perché si dice che nella Roma i giocatori facciano il loro comodo: ma se davvero lo fanno, qualcuno glielo lascia fare, o no? Rudi Garcia ha un mare di responsabilità nel pessimo andamento stagionale della Roma, ma non può essere l’unico colpevole. Il francese, di certo, in estate si è fatto depotenziare senza batter ciglio, salvo poi – come accaduto dopo il Milan – sparare a zero contro i preparatori atletici a stelle e strisce. La Roma non l’ha (ancora) cacciato solo perché non ha trovato il traghettatore ideale verso il futuro, eppure Rudi accetta passivamente questa situazione, senza avvelenarsi ma continuando a difendere se stesso e il proprio lavoro. Insomma, senza sbattere il contratto sul tavolo e salutare baracca e burattini. E, si sa, chi tace acconsente. Sabatini, è noto, sta trattando attaccanti esterni, anche se la Roma avrebbe bisogno come il pane di almeno un paio di difensori esterni: il mercato lo faccio io, ha tuonato più volte il ds, e Garcia non ha mai alzato il ditino per dire scusate ci sono anch’io. La dirigenza della Roma non l’ha mai difeso in maniera decisa, irremovibile: sia Sabatini che Baldissoni, in diverse occasioni, hanno messo un paio di pezze ma mai l’hanno confermato senza se e senza ma. In fondo, avere un capro espiatorio fa comodo perché serve, se non altro, a dirottare le responsabilità altrove. La rosa è incompleta, troppi buchi e troppi giocatori non da Roma: la priorità, però, è prendere il vice Iturbe, che era una riserva. Perché?

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