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IL TEMPO Quando Spalletti dubitava “Americani? Non mi intrigano”

Luciano Spalletti
Luciano Spalletti

(E. Menghi) – Pare che certi amori non finiscano e siano destinati a ritornare, prima o poi. Spalletti di giri immensi ne ha fatti, arrivando fino in Russia, passando per l’America di Pallotta e degli investitori che, visti da lontano, poco lo convincevano: «Questi americani non li conosco, ma non mi intrigano. Troppi discorsi, troppi fogli. Gli stranieri possono far bene, ma la Roma merita un capo come quello del Chelsea, dello Zenit o del Manchester City». Lo diceva nell’aprile del 2011 il tecnico di Certaldo, proprio mentre DiBenedetto diventava presidente del club giallorosso. Certo non si aspettava di ritrovarsi faccia a faccia con il nuovo numero uno Pallotta quasi 5 anni dopo.

Più di 6 ne sono passati, invece, dalle dimissioni da allenatore della Roma, dopo la sconfitta con la Juventus nell’agosto del 2009: «È la cosa più giusta da fare. Ho voluto mettere a posto delle cose con la società, ma non è bastato e per fare qualcosa in più bisognava che mi assumessi delle responsabilità, tutte racchiuse nel gesto che ho fatto». L’addio, anzi l’arrivederci, commosso alla Roma lo fece da casa sua: un atto non banale quello di rinunciare a 2 anni di contratto, fatto da un allenatore che banale non lo è mai stato, nel bene e nel male. Un po’ perché è stato l’ultimo a vincere qui: 2 Coppe Italia e una Supercoppa italiana, ma anche il suo «rammarico più grosso», lo scudetto sfiorato nella stagione 2007/08 chiusa a -3 dall’Inter.

Fuori dal comune lo è stato anche per l’originale modo di comunicare. Tra le frasi celebri di Spalletti c’è quella dopo il pari con l’Inter di Mourinho: «Dalle mie parti si dice che dove c’è un furbo c’è un bischero e io la parte del bischero non la voglio fare».

«Gli equilibri, il tacco, la punta, il numero, il titolo, il gol, gli equilibri. O più sostanza, o non si vince», la lezione dopo il ko fatale con la Juve mentre sbatteva i pugni sul tavolo. Nessun filtro per le questioni interne: «La famiglia Sensi si è impegnata molto, poi mi avevano detto di dire che con Soros non si erano incontrati e mezz’ora dopo hanno detto di sì in un comunicato».

Ci fu un battibecco con Tare per il dito puntato contro in un derby perso 4-2, una litigata con un giornalista che insinuava un rapporto incrinato con De Rossi e una sfuriata a tutti i cronisti: «Si fa sempre il giochino della telefonata la sera alle 8 in cui ognuno tira l’acqua al suo mulino: se non si smette siamo rovinati». Spalletti fece partire la caccia ai «riportini», quelli che «lavorano a Trigoria ma non vogliono bene alla Roma». Di recente, invece, ha detto: «A Roma o sei primo o c’è sempre qualche alone di dubbio che sta al tuo fianco». Lui è stato l’ombra di Garcia e in qualche modo Totti lo aveva predetto al tempo dei saluti: «Mi sono sempre augurato di chiudere la carriera con Luciano allenatore». Accontentato

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