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LA STAMPA Alla fiera dell’Est

Dzeko
Dzeko

(M. Nerozzi) Il Buono e il Cattivo, come da etichette che gli anni, le partite, i tifosi hanno appiccicato a Edin Dzeko e Mario Mandzukic, tornano a sfidarsi domani sera allo Stadium. Juve-Roma è anche il loro duello, tra due giocatori che hanno un paio di cose in comune: l’età, che li separa di appena due mesi, e il mestiere, quello di verissimi «nueve» dopo l’epoca dei falsi. E un particolare che li rende diversi, da sempre: la cattiveria, sportivamente parlando. Quella che poi, l’estate scorsa, fece scegliere la Juve, se è vero che l’ad Beppe Marotta e il ds Fabio Paratici avrebbero pure potuto prendere il bosniaco del Manchester City. E invece virarono, in fretta, su Mandzukic. La tecnica e i gol di Tevez ce li avrebbe messi Dybala, ma per lo spirito guerriero e l’esperienza di Carlitos serviva altro. Così, più o meno, ragionarono a casa Juve: «Abbiamo bisogno di un giocatore esperto, tosto e cattivo: Dzeko è bravo, forse troppo». Nei primi sei mesi, è andata proprio così.

IL RITORNO DI SUPERMARIO – Un girone dopo si ritrovano due squadre, e due attaccanti, completamente diversi: all’andata, il 30 agosto, la Roma dominò, pure più del 2-1 finale, Dzeko segnò il suo primo e finora unico gol su azione in campionato, Mandzukic litigò con il pallone. Come volevasi dimostrare, si pensò, pensammo. Invece, era il mondo al contrario di quel che sarebbe stato. «Stavo giocando male – raccontò Mandzukic – e a volte stavo sveglio per tutta la notte pensando a che cosa succedeva. Ero disperato perché non riuscivo a vedere la via d’uscita, cosa mai successa in carriera». Già, mai accaduto, visto che arrivava da due stagioni super con il Bayern Monaco e una così così con l’Atletico Madrid. Ma sempre con uno score da affidabile pistolero: 20 gol in 43 partite in Spagna, 26 in 48 l’anno prima, 22 in 40 gare nella stagione del triplete tedesco. Qui, nel mezzo di un incerto cammino, lo aiutò Massimiliano Allegri: «Aveva fiducia in me, una cosa molto importante: mi è stato vicino nel momento difficile». E da un certo punto non ha più sbagliato un colpo: sei gol nelle ultime nove partite stagionali. Se segna (lui), regna (la Juve): con il croato in rete, mai una sconfitta. Quando si dice, uomo squadra. Dzeko, nel frattempo, stava sempre sbagliando battaglia, con notti da missing in action. Dopodiché, al centravanti della Bosnia non aveva offerto una mano, anzi, un cross o un appoggio, la Roma: del resto, se assumi come ali Iturbe e Salah, due sprovvisti del pulsante del passaggio, che possa finire così sta nel senso delle cose. E nell’evidenza dei risultati. Si ciba di palloni volanti anche Mandzukic, e infatti Dybala e Alex Sandro hanno iniziato a fiondarne in area: lui li ha spediti a bersaglio. Dal tap-in di corsa e cattiveria (con la Fiorentina) alle acrobazie (con il Carpi).

LA STIMA DEL GRUPPO – Al Cattivo ha fatto bene la bontà del gruppo, e dei compagni. «Da bambino Buffon era il mio idolo – disse subito Mandzukic – e con Chiellini ho avuto bei duelli, ma a fine partita ci siamo sempre stretti la mano: veri uomini e niente pianti». Proprio il difensore juventino, quando il croato non era ancora Supermario, aveva zero dubbi: «Vedrete». Dzeko era invece quello che già fustigavano i tabloid: «Se vuole diventare un top, dovrebbe smettere di essere un bravo ragazzo». Per dirla con Bobo Vieri, uno del ramo, se in Italia non vai in campo per far la guerra, non vedi palla: Mandzukic ha quello spirito, Dzeko non sempre.

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