Secondo quanto riporta l’edizione odierna della Gazzetta dello Sport, Dzeko ha digerito a fatica l’esclusione di mercoledì in Champions, contro il Real. Quando Spalletti ha comunicato la formazione ha mandato giù il boccone amaro, senza isterismi. Ma in cuor suo ci è rimasto male, ha metabolizzato a fatica la «semibocciatura». Si è fatto tante domande, anche se poi a Trigoria non fa trapelare nulla e continua a comportarsi come il migliore dei professionisti. Questo perché lo è e perché è abituato a un grado di professionalità che ti viene trasmesso quando giochi ad alti livelli in campionati come la Bundesliga e la Premier. Ma quando entra in campo, la prima cosa che si nota è la mancanza di fiducia. Come se strada facendo avesse perso la convinzione che venire a Roma sia stata la scelta giusta.
Dall’altra parte, invece, ci sono la Roma e Spalletti. La società, è inutile nasconderlo, si aspettava un rendimento diverso, soprattutto in termini di gol (Dzeko ne ha fatti in tutto 6, tra campionato e Champions). Era stato preso per essere la dinamite da opporre ai vari Higuain, Dybala e Bacca e come tale si era presentato ad inizio stagione, tra l’amichevole col Siviglia e la Juve. Dopo l’infortunio subito con il Carpi, all’andata, in realtà si è visto un altro giocatore. E poi c’è Spalletti, che invece non perde occasione per stimolarlo, difenderlo, scaricarlo da responsabilità e pressioni. Anche a costo di distribuirle su tutti gli altri, sulla squadra, come quando dice «non siamo bravi noi a servirlo come si deve, dobbiamo metterlo in condizione di far bene». Un fondo di verità c’è, come è anche vero che quando ha fatto bene Dzeko ha spesso giocato con un compagno di reparto vicino: Grafite al Wolfsburg, Agüero al City. Domani, intanto, il bosniaco sarà di nuovo lì, al centro dell’attacco. Per superare il Palermo e cercare la cura.