(E. Sisti) Inizio incolore, finale in tecnhicolor con Pjanic in campo. Dzeko assente poi Dzeko determinante. Finalmente un centravanti capace di migliorare nel tempo, come se prima fosse stato troppo occupato a scrollarsi di dosso la ruggine della sua personalissima tristezza. Dzeko segna e smista, festeggia col ciuccio in bocca e ispira la rete della sicurezza di Salah nella partita dalla quale la Roma si congeda viva e pimpante, dopo averla iniziata da smorta, senza idee e probabilmente con un modulo che faceva fatica ad applicare (il 4-2-3-1). Il match si è aperto nel secondo tempo per merito sia del Carpi, che ha reagito allo svantaggio, che della Roma. Poi ha vinto la squadra più dotata e anche più tosta. Carpi battuto 3-1 in casa. Non era facile pronosticarlo. Adesso per almeno 46 ore la Roma è terza, il gruppo di Spalletti reagisce di nervi e carattere a una situazione che ancora una volta si era messa male per quel momento di anestesia agonistica di Rüdiger che basta a innescare Mbakogu per l’1-1 di Lasagna.
Il dosaggio di Spalletti Plus 400, fatto di parole di calcio e continue variazioni sul tema fisico e tattico, continua a produrre effetti sempre diversi. A volte begli attacchi, a volte code musicali, a volte splendidi gesti isolati. La musica di Trigoria non è più monotona. Ma neppure stavolta è andato tutto liscio. Il primo assaggio di terzo posto era durato appena trecento secondi, cinque illusori minuti. A spingere la Roma avanti ci aveva pensato Digne con una randellata da 30 metri, il francesino che tornava per la prima volta titolare dopo l’infortunio, quello che se ne va in giro con la tutina grigio chiaro come un liceale per Via degli Scipioni con la fidanzata anche più minuta di lui. Digne però non basta. Dovrebbe far sbandare il Carpi, dovrebbe confermare la buona intuizione di Spalletti di inserire Pjanic nel secondo tempo (dopo un primo caotico) e con lui cambiare modulo (dall’intoppato 4-2-3-1 al più filtrante 4-1-4-1). Invece è la Roma che traballa, sbaglia e si fa accecare alla paura. Rüdiger giudica così male un pallone che Mbakogu non può che ringraziare e darlo a Lasagna appena entrato. Rispunta la vecchia Roma che si pensava sparita, che immaginavamo sminuzzata e surgelata in pacchetti da Spalletti. E invece no. Continua a essere complicato tenere un risultato, proteggere tre punti.
Poi la svolta. Qualcosa scatta. Arriva la rabbia, non offusca i pensieri, non appesantisce le gambe. La Roma trova a destra, con Salah, gli accordi più armoniosi. Nel giorno no di El Shaarawy, in cui anche Perotti segna il passo (stanchi entrambi), è Salah che con Pjanic, Nainggolan e Dzeko, arma l’assalto a Castori. In due minuti l’egiziano cambia sapore alla serata: Dzeko al 39’ e Salah al 40’ fanno arrossire la difesa emiliana. E pensare che per quaranta minuti la Roma era parsa una copia di quella dei melensi giorni del possesso palla rallentato che non portava a nulla. Spalletti aveva mandato subito a scaldare Pjanic perché era già infuriato per quella sterile danza sotto la pioggia cui stava assistendo. Forse la prima reazione arriva quando Tagliavento ammonisce Mancosu per simulazione (su suggerimento dell’addizionale Baracani) dopo che aveva già puntato il dito sul dischetto del rigore per punire il fallo di Manolas (40’). Forse lì la Roma smette di avere paura di se stessa ed esce dal torpore del girone dantesco (gli accidiosi?) in cui s’era infilata. E nel secondo tempo diventa terza.