(M. Pinci) – Il caso non è chiuso, lo hanno solo messo in freezer. Sotto la cenere di una calma apparente arde un fuoco pronto ad accendersi: tra nemmeno dieci giorni Pallotta sarà a Roma, in agenda il definitivo redde rationem con Francesco Totti. Che aspetta una risposta, ora che tutto il mondo conosce la sua volontà: vuole giocare ancora. Lo ha detto al tg1, lo dirà al presidente. E il presidente cosa risponderà? Intanto, nell’anticipazione di un’intervista al Corriere dello Sport in edicola oggi, difende l’allenatore sull’esclusione di Totti, dettata «da un principio fondamentale: prima viene la squadra e nessun giocatore viene prima degli altri». Si dice «sorpreso dalle parole di Francesco, ma allo stesso tempo capisco lo sfogo dettato dalla frustrazione». Tace invece sul futuro: i propri piani li sveleràsoltanto a Francesco, quando se lo ritroverà di fronte. La cosa ormai chiara a tutti è che se il club avesse visto con favore un rinnovo da calciatore, l’avrebbe già sottoscritto: per la multinazionale a stelle e strisce invece uno come Totti è molto più utile come vessillo da esibire, uomo immagine, ambasciatore: un po’ come fu Figo nell’Inter. Anche il capitano della Roma l’ha capito, fin dalla tiepida colazione con il bostoniano di fine dicembre: da quel giorno monta il malessere, acuito dalle panchine, e i 4 minuti contro il Real sono solo la punta di un iceberg contro cui la Roma è andata a sbattere. Semmai confidava nella burrasca in un consenso quasi plebiscitario tra l’opinione pubblica, che al contrario è mancato. Il sostegno allo stadio gli ha restituito un timido sorriso, che ha tentato di ostentare anche ieri al rientro a Trigoria. Con Spalletti, al netto delle smentite, un veloce colloquio c’è stato, nell’ufficio dell’allenatore: troppo orgogliosi entrambi però per cedere, troppo fermi sulle rispettive posizioni. L’allenatore non vuole diventare il carnefice, l’uomo che ha fatto fuori Totti. Ma è complicato immaginare un’altra stagione di convivenza, con i due a bisticciare per i minutaggi e le panchine. Forse solo la dirigenza potrebbe favorire un punto d’incontro.
Dirigenza che mentre la tempesta perfetta s’abbatteva su Trigoria ha mollato il timone abbandonandosi alle onde. Alla fine però un passo ha provato a farlo: domenica prima della partita hanno avvicinato Totti, singolarmente, sia il dg Baldissoni sia il ds Sabatini, che da uomo di campo ha mostrato interesse per l’uomo oltre che per l’atleta. Parole di circostanza: stai sereno, parlerai con il presidente. Facile a dirsi, meno sapendo che lo spettro di un addio triste è ora molto più che il timore di chi guarda con ansia al “dopo”. Per continuare a fargli fare il calciatore c’è la fila: decidesse di trasferirsi negli States o in Medio Oriente (scartata l’ipotesi cinese) troverebbe domattina emissari fuori dalla porta di casa. E tra una battuta e l’altra pure il Milan segue la vicenda, suggestionato dall’idea di farne un uomo immagine. In fondo stiamo parlando di un simbolo e di un uomo-azienda da 5-6 milioni annui di fatturato. Solo che una decisione così Totti non vorrebbe doverla prendere. «Mi sarebbe piaciuto chiudere la carriera con Spalletti», disse nel 2009 quando l’allenatore se ne andò. Non pensava che farlo sarebbe stato tanto deprimente.