(T.Riccardi) – Non è lui il primo falso nove nella storia del calcio italiano, sicuramente lo è stato per Luciano Spalletti. A Empoli, 18 anni fa, il 15 marzo 1998. Giovanni Martusciello è uno dei nomi citati dal tecnico giallorosso nello SlideShow di Roma TV, quando si è trovato a commentare una foto della Roma 2005-2006, quella con Totti centravanti e “gli indiani” – i centrocampisti e gli esterni – a sbucare da tutte le parti, senza dare riferimenti alle difese avversarie. “Ho provato questo sistema per la prima volta a Empoli, mettendo Martusciello in quella posizione di centravanti. Lui era un mediano con caratteristiche offensive. Da quella volta questa soluzione tattica mi è sempre rimasta n testa e mi ero ripromesso di riproporla nel corso della carriera. Con Totti un modulo del genere non poteva che venire meglio”, il virgolettato dell’allenatore.
“La ricordo benissimo quella partita – dice oggi Martusciello, vice di Giampaolo a Empoli –, anche perché segnai un gol e feci un assist. Vincemmo 2-0”.
Chi fu l’avversario di quella giornata?
“Il Parma, che ospitammo al Castellani. E non era un Parma scarso, bensì aveva Ancelotti in panchina, Buffon in porta, Thuram e Cannavaro difensori, Dino Baggio a centrocampo, Chiesa in attacco. Noi ci ritrovammo senza Esposito e Cappellini in avanti, i nostri attaccanti titolari. Così il mister pensò di impiegarmi in quella posizione e andò decisamente bene”.
La soluzione rappresentò una novità assoluta per l’epoca.
“Esattamente, ma non mi stupì. Luciano già allora sperimentava continuamente. Non si accontentava di proporre un solo sistema, voleva sempre ottimizzare le risorse a disposizione con idee innovative. Si confrontava di continuo con colleghi curiosi tatticamente come Ventura e Silvio Baldini. Era un “malato” di calcio, viveva in funzione della sua professione. Ventiquattro ore al giorno, aveva sempre il cervello in funzione”.
Per fare un esempio?
“Guardava continuamente i video delle partite che giocavamo. Oltre a darci suggerimenti su come migliorare quello che avevamo fatto in campo, traeva spunto dalle azioni degli avversari per fare sue determinate giocate e aggiungerci qualcosa di suo”.
Avrebbe immaginato per lui una carriera di così alto livello?
“Sì, ci avrei scommesso. Ha una vasta conoscenza di questo sport da sempre, non poteva che arrivare lontano con le sue convinzioni. La cosa che più mi stupisce di lui, tuttavia, è un’altra…”.
Quale?
“Ha un carisma tale da riuscire a trasmettere in poco tempo il suo credo ai calciatori. E l’esempio lampante è la Roma di questo periodo, che viene da otto vittorie consecutive in dieci partite totali della sua gestione. Non è semplice, ve lo assicuro”.
Davanti a Spalletti in classifica c’è Sarri, altro allenatore che lei conosce bene.
“Sono stato suo vice a Empoli e avrebbe voluto portarmi pure a Napoli, ma alla fine il presidente Corsi ha preferito che restassi in Toscana. Lui è un altro grande tecnico, che sta facendo un lavoro sensazionale”.
Non le chiedo chi è più bravo, ma solo quali differenze ha notato tra i due lavorandoci a stretto contatto.
“Premettendo che io da Luciano sono stato allenato, mentre con Maurizio ho collaborato da assistente, secondo me c’è una caratteristica sostanziale che li differenzia. Sarri insegna calcio, è molto schematico, ma è legato alla sua squadra. Fortifica il proprio senza pensare a quello che si ritroverà di fronte la domenica sul terreno di gioco. Spalletti fa tutto questo, ma non trascura assolutamente l’avversario, studiando strategie per contrastarlo. Sarri non lo fa”.
Un po’ come Zeman, insomma, ma con più organizzazione difensiva.
“Il paragone ci sta, può essere corretto. E il riferimento alla difesa del Napoli è sotto gli occhi di tutti: le squadre di Sarri concedono poco dietro e creano tanto davanti. Tuttavia, come già detto, a Maurizio non interessa studiare a fondo la formazione che avrà contro. Con questo non sto dicendo che è più bravo Spalletti, sono due filosofie diverse”.
A Empoli quest’anno sta conoscendo da vicino un centrocampista di proprietà della Roma, Paredes, che si sta proponendo come uno dei migliori registi del campionato italiano.
“Leo è un ragazzo intelligente, umile e di grande professionalità. Noi lo avevamo preso per schierarlo da mezzala offensiva. Le sue caratteristiche, però, non sono ideali per ricoprire quella posizione, così abbiamo pensato di metterlo in mezzo al campo cercando di sfruttare al meglio la sua tecnica e la sua fisicità. Paredes sa far cantare il pallone e vede il gioco come pochi. Si sta integrando bene, partita dopo partita, però a mio avviso ha bisogno almeno di un’altra stagione in provincia per aumentare la personalità e per prendere più consapevolezza nell’interpretazione del ruolo. Fare il titolare a Empoli è un conto, farlo a Roma è un altro. La nostra realtà è a misura d’uomo, non ci sono pressioni, nella Capitale tutto è amplificato. Questa, comunque, è solo una mia opinione”.
Che giocatore può diventare in futuro Leandro?
“Ci parlo spesso, per me il suo obiettivo – oltre che fare bene nella Roma – deve essere quello di prendere un posto importante nella nazionale argentina. Diventare il nuovo Biglia, ovvero il regista della “Selecciòn”. Ha tutto per riuscirci, ha bisogno solo del giusto tempo per crescere. Non dimenticate che è un ’94, ha 22 anni”.
Fonte: AS Roma Match Program