(U. Trani) Il messaggio, rivolto non solo al grande pubblico della Champions, ha avuto l’effetto desiderato. Spalletti, senza correre il rischio di essere male interpretato, ha messo spalle al muro la Roma. Che non è la squadra (colpita solo marginalmente), come qualcuno ha voluto far credere per certificare la svolta di gennaio. Quella c’è stata e i risultati ottenuti, in meno di due mesi, lo confermano. Il cambiamento di rotta chiesto dall’allenatore va a colpire per prima la società. L’importante, da Madrid in poi, non sarà più partecipare. Bisogna vincere e basta. Stop alle autocelebrazioni del nulla. La restaurazione deve essere completa e definitiva. Scegliendo gli interpreti giusti e scaricando le comparse inutili. L’aut aut del tecnico è stato mirato: per non continuare con «i passettini» e fare «il balzo in avanti».
NETTA VIRATA – Se Garcia ha sempre offerto alibi ai suoi giocatori, difendendoli a oltranza, i dirigenti italiani si sono accodati sempre e comunque. Con l’obiettivo di prendersi, insieme con il francese, i meriti di aver riportato il club ai vertici del campionato italiano e tra i 16 migliori d’Europa. Lucio, però, non è Rudi. Qui lui ha già vinto e, almeno a sentirlo parlare dopo l’eliminazione bruciante al Bernabeu, non gli è bastato: 2 volte ha alzato la Coppa Italia e 1 la Supercoppa italiana. «Sono stufo di essere secondo, se resto voglio competere per lo scudetto» ha chiarito il toscano.
TOSTO STIL NOVO – Il malessere, tanto per ricordare lo stato d’animo con cui Spalletti ha lasciato il tempio madridista, lo ha già provato 2 volte. Giocandosi il titolo testa a testa con l’Inter e sentendosi alla pari nel duello con i nerazzurri. Quindi non accontentandosi certo di finire per 2 stagioni di fila a 17 punti dalla Juve. Non gli piace, come invece ha fatto spesso il management italiano, essere il più bravo alle spalle di chi vince. Non fa per lui sentirsi il primo dei perdenti. Anche la Champions la vuole diversa, essendo già entrato per 2 stagioni (le uniche su 9 partecipazioni della Roma), tra le 8 migliori del continente. E, quando alla vigilia della gara d’andata con il Real, disse che la Roma aveva le stesse possibilità dei galacticos di passare il turno («Cinquanta per cento noi e loro»), lo ha pensato sul serio. Di qui lo sfogo dopo la gara di ritorno: «Quando ci ricapita un’occasione del genere» ha urlato Lucio.
PATTO CHIARO – Già nella notte di Madrid si è confrontato con i dirigenti. Basta pacche sulle spalle dopo i flop. E soprattutto stop alle giustificazioni. Indimenticabile «la parodia del calcio» di Garcia dopo il 2 a 2 a Bologna. «Impossibile battere questo Barcellona» fu la resa di Rudi, dopo il 6 a 1 al Camp Nou. Con la benedizione di Sabatini: «Si tratta di una partita con una formazione straordinaria in un momento straordinario. Queste partite raccontano una storia che devi capire, ma l’orgoglio ci rimetterà in gioco. Pensiamo all’Atalanta». Che, però, conquistò l’Olimpico (2 a 0). Baldissoni, invece, dopo lo 0 a 0 all’Olimpico con il Bate Borisov (fischi del pubblico che bocciò la squallida prestazione dei giallorossi): «Essere riusciti a superare il girone vuol dire essere stati più bravi dagli altri. Che lo meritiamo è un fatto». Non contento il dg, dopo il 3 a 3 al Bentegodi contro il Chievo, si superò: «Come si può valutare Garcia: con tutte le assenze che ha avuto…». Spalletti, invece, non vuole alibi. Per se stesso e per la squadra. Con i giocatori ha parlato ieri mattina a Trigoria. Perché non li ha visti abbastanza arrabbiati, a caldo, per l’eliminazione. Solo qualcuno è rientrato negli spogliatoi a testa bassa. Altri, invece, si sono scambiati il cinque. Per aver evitato la terza goleada in 16 mesi. «Così non va bene». E’ finito il tempo di festeggiare le sconfitte.