(A. Serafini) Una priorità tira l’altra. Ma nelle intenzioni di James Pallotta il futuro economico della Roma passerà inevitabilmente dalla realizzazione del nuovo stadio perché, «quando sarà pronto vedrete che genererà grandi entrate». Il presidente americano però non potrà concedersi ulteriori ritardi nella consegna del progetto definitivo, atteso da mesi negli uffici della Regione Lazio: «Entro 6 settimane consegneremo il dossier da 8.000 pagine e abbiamo la speranza che in 6 mesi venga approvato il tutto per iniziare a costruire. Ce ne vorranno circa 26 invece per terminare l’impianto».
Incalzato dalle domande durante la Sports Analytics Conference andata in scena qualche giorno fa a Boston, Pallotta svela altri aspetti: «Sarà interamente finanziato dai privati, la capitale è in corsa per le Olimpiadi del 2024 ed avere uno stadio sarebbe un punto a favore. Noi finanzieremo anche le opere pubbliche, che ammontano a circa 300 milioni, non sono d’accordo con chi dice che la città debba aiutarti con finanziamenti pubblici». Saltando da un argomento all’altro, il numero uno statunitense si trova spesso costretto a rapportare le differenze della cultura italiana, in ogni aspetto. A partire dalle logiche del calciomercato: «In Europa è ancora vecchio stile, tutto è in mano ai procuratori. A volte basta un errore per determinare il tuo successo o il fallimento. Per esempio un paio di anni fa abbiamo comprato Marquinhos a 18 anni per circa 3 milioni di dollari e l’anno seguente lo abbiamo rivenduto al PSG a 35 milioni di euro. Il mercato può diventare un’incredibile fonte di ricavi da reinvestire nella squadra». Fino ai biglietti: «A Roma non puoi andare al botteghino e dire “Voglio un biglietto”. Per questo stiamo sviluppando un nuovo metodo di vendita». D’altronde Boston non è certo Roma: «Me ne sono accorto – conclude Pallotta – la pressione dei media nella capitale è difficile da gestire, c’è un qualcosa che non si verifica da nessuna altra parte».