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ILFATTOQUOTIDIANO.IT “Flaminio” nuovo stadio della Roma: utopia o importante possibilità di riqualificazione urbana?

Stadio Olimpico
Stadio Flaminio

(S. Meloni) – Ti vengono i brividi pure se quegli anni non li hai vissuti. Basta vedere delle immagini, quelle deidue derby di campionato giocati là. A pochi passi dall’Olimpico. In quello stadio posto su Viale Tiziano, dove corre il celebre tram che da sempreporta i tifosi dalla metro allo stadio. Il Flaminio. Un patrimonio unico e incommensurabile di una Capitale smemorata, svogliata e troppo impegnata a fiutare nuovi affari e nuove opere su cui speculare per avere uno sguardo lungimirante e di salvaguardia verso ciò che si ha e che basterebbe migliorare per rendere fruibile.

Ti vengono i brividi oggi, a passarci vicino a quel tempio profanato. E non sono brividi d’emozione, ma brividi di inquietudine e tristezza. Percorrendo il perimetro che lo circonda si può inciamparesu una carcassa di una vecchia roulotte bruciata e in tanta (ma davvero tanta) sporcizia dovuta all’incuria che da qualche anno ormai regna sovrana. Il cuore dello stadio Flaminio ha smesso di battere nel 2011, quando la Federazione Italiana Rugby (FIR), una volta trasferitasi all’Olimpico, lo ha messo nelle mani della FIGC, con l’impegno di quest’ultima di ristrutturarlo e renderlo fruibile. L’impianto di Pier Luigi Nervi, cuore pulsante del Villaggio Olimpico che fu, doveva essere affidato al vincitore di un bando indetto sul finire dello scorso anno, ma al momento la situazione è in stato di stallo. Fedele cartina al tornasole di una città immobilizzata e sodomizzata dalla disastrosa, assente e speculatrice gestione politica degli ultimi mesi (anni?).

Lotito ne aveva parlato qualche anno fa: “Acquistare il Flaminio e farlo diventare la nuova casa della Lazio”. Parole. Rimaste tali. Chi, da ormai un lustro, sta portando avanti il discorso stadio è invece la Roma di James Pallotta. Una nuova casa per il club giallorosso, con la possibilità per tutti i tifosi di una maggiore empatia con la squadra e tutto il mondo che le ruota attorno. Bene.

Perché non il Flaminio? Una struttura concepita perfettamente per il gioco del football. Spalti attaccati al campo, posizione centrale e struttura storica. Con costi inferiori e meno rischio di inquinamento ambientale. Certo,sicuramente bisognosa di un importante restyling, soprattutto in merito alle cervellotiche norme sulla sicurezza vigenti in questo periodo storico.

Cosa, meglio di un simile stadio, potrebbe portare giovamento alla causa di un club che nelle ultime stagioni (anche per colpe non proprie, sia chiaro, vedansi caso “barriere”) ha perso diversi spettatori? Ovvio, edificare supermercati, centri commerciali, alberghi e altre strutture paventate nelprogetto “Tor di Valle” sarebbe difficile, ma non impossibile. Eppure lanciare una provocazione non costa nulla: perché non riportare la Roma e i romanisti allo stadio Flaminio? Restituirgli l’emozione di un calcio retrò rispettando le regole odierne. Si può. Ci vorrebbe soltanto un po’ di coraggio e tanto amore per questo sport.

Non ci sarebbero guadagni e sarebbe inutile per una dirigenza palesemente venuta nell’Urbe Immortale per monetizzare anche e soprattutto tramite la costruzione dello stadio? Non è poi così vero. Un polo commerciale si andrebbe comunque a creare, foraggiando le attività di un quartiere che lentamente sta implodendo su se stesso.

All’ombra del Colosseo, negli ultimi anni, si è assistita alla sparizione silente di un marchio storico come la Lodigiani (che per oltre vent’anni ha albergato con onore al Flaminio) e l’umiliante auto retrocessione della squadra di basket. Sotto la guida di quel Toti che, guarda caso, reclama la costruzione di una cittadella dello sport come pegno per risalire la china e riportare la Virtus Roma a lidi che più le competono. E, sempre guarda caso, sembra che la mira sia quella di farla rientrare nel progetto bostoniano pensato prevalentemente per il calcio.

Una joint venture composta dall’AS Roma (ma stesso discorso potremmo fare, ovviamente, anche per la SS Lazio), che dovrebbe ovviamente espletare parte degli impegni economici, dal comune, e da privati interessati a investire nel progetto e magari erigersi a sponsor, potrebbe essere il primo passo per far rialzare la testa di una città da troppo tempo china e supina. Oltre che emotivamente tramortita anche dalle folli decisioni in tema di ordine pubblico, che per forza di cosesono ricadute sui tifosi, uccidendone buona parte della passione.

Insomma, senza voler gettare tutto nello stesso calderone, facendo finta che non esistano piani regolatori e norme che controllano la costruzione e l’acquisizione di aree demaniali: la faccendastadio Flaminio appare soltanto l’appendice di un’intricata e articolata storia che alla base ha interessi legati alle solite lobby cittadine che da anni pensano a come ricoprire Roma di cemento ma non a come recuperarne le zone storiche e più in vista.

Senza questi interessi probabilmente si riconoscerebbe immediatamente la validità di un’idea come questa. Oltre che la velocità con la quale si potrebbe realizzare, considerando che la base già esiste. Non dimentichiamo che lo stadio Flaminio è dotato, al suo interno, di una palestra, di alcune piscine e di strumenti un tempo all’avanguardia (e ora lasciati marcire tra ruggine e infiltrazioni d’acqua). Yes, We Can. Diceva una campagna elettorale di qualche anno fa. Basta volerlo e riuscire, per una volta ad anteporre gli interessi della collettività a quelli dei singoli. Ne va dello sviluppo culturale della Capitale d’Italia. Un discorso ben più grande dello stadio Flaminio. Ma che all’interno delle sue gradinate riflette tutta l’inefficienza e il degrado dei padroni del vapore.

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