(M. Pinci) Keita due mesi fa lei giocava poco e la Roma faticava, ora le vince tutte: cosa è cambiato?
«La fiducia. Ma è stato decisivo soprattutto il modo di lavorare di Spalletti. Quando le cose vanno male la colpa è dell’allenatore, ora che vanno bene il merito è suo. Vuole che i calciatori facciano quello che lui dice e se non lo fanno diventa caliente, grida. Ma è anche simpatico, ti fa gli scherzi».
Con Garcia cosa s’era rotto?
«Qualcosa di rotto c’era, ma è complicato dire cosa. E quando le cose non funzionano, qui a Roma la pressione è fortissima».
È davvero così difficile Roma?
«In realtà ricordo una cosa bellissima: contro la Samp perdevamo 2-0 e mi hanno espulso. Pensavo che i tifosi mi fischiassero, invece mi hanno applaudito. Se lavori bene la gente lo capisce».
Poi vi hanno fischiato dopo la qualificazione contro il Bate…
«È passato e non possiamo cambiarlo. Ma ora in trasferta vengono a vederci in tre o quattromila. Bisogna guardare avanti, solo così si può vincere».
Lei ha vinto ovunque, dal Lorient al Lens, dal Siviglia al Barça. A Roma rischia di chiudere senza trofei...
«E chi l’ha detto? Abbiamo otto punti meno della Juve e sembrano tanti, ma mancano nove partite, possiamo vincerle tutte. Se non è finita non bisogna gettare la spugna. Non avessimo carattere non ne avremmo vinte otto di fila. E nessuna era facile».
Le coppe dicono però che il calcio italiano è in crisi.
«Ho giocato in Spagna, Francia, ma il campionato più complicato è il vostro».
E in Mali, da bambino, com’era il calcio?
«Era diverso, si giocava scalzi in strada. Raramente vedevano le partite in tv, solo quando c’era la Coppa d’Africa. Per vedere il calcio europeo serviva il satellite, ma costava troppo, non ce l’aveva nessuno. Con l’ex calciatore Salif Keita non siamo nemmeno parenti: mio padre era militare, ha combattuto per l’indipendenza dalla Francia, mia madre commerciante».
Il 20 novembre un attacco jihadista ha colpito Bamako, la capitale del Mali, la sua città…
«Non ho parole per esprimere il dolore, continuo a chiedermi il perché, ma non è solo un problema del Mali, è internazionale: non sono un professionista dell’Islam e non spetta a me parlarne. Ma bisogna ricordare che anche tanti musulmani sono stati uccisi».
E tanti musulmani scappano in un’Europa non sempre accogliente.
«Siamo tutti migranti quando le condizioni di vita non sono ideali. Ma oggi chi arriva da Siria o Iraq è una vittima e bisogna metterlo nelle condizioni di poter vivere. Non sono un politico, ma ho un cuore e mi fa male vedere bambini soffrire così. Razzismo? Normale purtroppo. Bisogna insegnare i valori fin da bambini».
Come capirà quando sarà ora di smettere?
«Con questo lavoro sono diventato una persona migliore. Posso solo ringraziare Dio. Ma senza calcio non morirò, finito quello inizierà un’altra vita. Ora sto bene ma a fine anno potrei anche smettere».
E Totti dovrebbe smettere?
«Francesco è fantastico, ha dato la sua vita alla Roma. Qui la gente fa troppo rumore per nulla. A me piace il calcio, parliamo di quello».
Parliamone; un’africana vincerà mai i Mondiali?
«Servono lunghe programmazioni. Ora il calcio africano è più professionale, Arriveremo in semifinale, vedrete».