(E. Sisti) – Casa è anche un ricordo lontano nel tempo e lontano da casa: «La Roma che otto anni fa vinse al Bernabeu aveva consolidato nel tempo un’idea di gioco, l’aveva sottoscritta e condivisa». Era una squadra che veniva da una lunga metabolizzazione di principi attivi del pallone: «I giocatori sapevano mostrare all’avversario le loro qualità senza perdere di visto l’obiettivo che avevamo deciso di raggiungere insieme».
Casa è trovare ipotetiche, ma neanche tanto, colleganze tra la Roma di Vucinic e Aquilani (quel giorno sontuosi) che oscurò il bianco dei blancos e la Roma attuale che da nove partite sta ricomponendo lo stesso mosaico e mettendo insieme la medesima sostanza di allora: convinzione, motivazioni, singoli, collettivo, fare calcio a cinque o massimo sei in spazi che non vanno oltre i cinquanta metri quadrati. Le famose densità mirate e ammirate contro la Fiorentina. E si divertono pure.
La differenza fra i due Spalletti e le due Rome è che adesso c’è da recuperare un risultato ai limiti dell’impossibile (0-2) contro una squadra di galacticos puntualmente contestata ma anche puntualmente reattiva ad ogni brontolio della platea (il 7-1 al Celta dopo le accuse a Perez e i vaffa a James e Ronaldo): «Andare in campo con l’idea di fare tre gol al Madrid è come dire lasciamo perdere. No. Dobbiamo cercare di portare il match psicologicamente dalla nostra parte, tenendo anche conto delle loro difficoltà con l’ambiente. Noi dobbiamo fare un gol». Presto sarebbe anche meglio. «Con un gol la testa di tutti i giocatori coinvolti cambia, cambia il modo di vedere partite del genere e spesso cambia anche la partita. Io non posso chiedere ai miei di non provarci, anche se è difficile, non posso mettere in campo la debolezza di giocare sapendo di essere già eliminati o di accettare un’uscita dignitosa. Se vedessi qualcuno dei miei condizionato al tal punto non lo farei nemmeno allenare». Tanto più che la squadra risponde a ogni sollecitazione, cresce ogni giorno, come un’adolescente:
«Vedo come si allenano e penso: ora gli chiedo di più».
Ieri Spalletti ha compiuto 57 anni e vorrebbe tanto un regalo: «Stupiamoci a vicenda». Non solo stasera, anche domani, anche fino a maggio. Stupirsi significherebbe andare sempre oltre. L’uomo sta ritrovando l’adrenalina accantonata: «Sono padrone della mia vita, sono felice di essere tornato e tutto questo mi emoziona ancora». Non vuole alibi, Spalletti. Forse per questo ripororrà Dzeko in un possibile 4-2-3-1. Il corto, il lungo, lo stretto, l’ampio, l’alto, il basso: serviranno tutte le dimensioni della geometria conosciuta per usare l’arma segreta contro la difesa di Zidane, un’arma costruita sull’irreperibilità degli “universali” giallorossi.
E poi vada come deve andare. «Alzandoci e giocando corti ci scopriremo? E chi può dirlo? Magari perderemo meno palloni… ». Dall’altra parte il francese sarà tentato di proteggersi. Senza Benzema e con il ritorno prepotente di Bale potrebbe virare su un 4-4-2 che Bale e Ronaldo interpreteranno da incursori. Se ne staranno lì come gli adorati cani al parco cui si lancia un osso: lo pigliano sempre e lo pigliano sempre prima degli altri. «Zidane è agevolato rispetto a me, che non sono stato un grande calciatore come Zizou: a lui potrebbe bastare trasferire ai suoi ciò che è stato quando era leader dello spogliatoio. Io invece ho dovuto imparare tutto dopo, allenando grandi calciatori. E mi sento fortunato per questo». Ora il fortunato dirige una piccola orchestra. Un grande allenatore è un top player in panchina.