(M. Ferretti) Ci sono momenti, non rinviabili, in cui c’è bisogno che qualcuno prenda di petto la faccenda. E che sistemi le cose. Con personalità, senza indugi. Nella vita, certo, ma soprattutto nello sport. Ci sono occasioni, non prorogabili, in cui è fondamentale dare l’esempio, risolvendo in un amen il problema. Non conta, in questi casi, essere il leader o il capitano del gruppo: conta fare, non essere. Anche se, si sa, i gradi non vanno mai a casaccio sul braccio di questo o di quello. Nella Roma essere capitano è un onore. Anzi, una missione da onorare. E una tradizione che si tramanda di generazioni in generazioni, alimentata da due principi fondamentali: l’essere romano e romanista. Sì, è vero: nella storia del club ci sono stati eccellenti capitani non romani, e forse neppure romanisti, ma se uno s’immagina un giocatore con la fascia al braccio e la Lupa sul petto, il pensiero corre immediatamente a Di Bartolomei, a Giannini, a Totti, a De Rossi. Due che, dal pomeriggio di una calda domenica d’aprile, hanno appurato dal vivo che quella fascia sul braccio di Alessandro Florenzi ci sta proprio bene.
BELLO DI NONNA – È accaduto, alle pendici di Monte Mario, che la Roma dopo aver dominato la Lazio, segnato due gol e sprecato troppo, si sia ritrovata con il fiato degli avversari sul collo per via di quel gol regalato da Szczesny a Parolo. Roma in ansia dopo aver giocato in assoluta scioltezza, e con la situazione sempre sotto stretto controllo. Ecco, in quei momenti lì c’era bisogno che qualcuno allontanasse le paure, che riportasse la normalità dettata dall’enorme gap tra le due formazioni, scacciando lontano i fantasmi di una rimonta che sarebbe stata imperdonabile. Florenzi, al suo primo derby da capitano, non ha tradito: sul quel pallone che la difesa di Pioli aveva respinto malamente, Bello di Nonna si è avventato con tutta la forza e la tecnica imparata con gli anni tra Vitinia e Trigoria, con maestri – tra gli altri – proprio Totti e De Rossi, e ha ridato il sorriso alla gente romanista, da Testaccio all’Olimpico, andata e ritorno. Serviva un gesto, un segnale, e Ale non si è tirato indietro. Da vero capitano. «Guarda i muscoli del capitano, tutti di plastica e di metano. Guardalo nella notte che viene, quanto sangue ha nelle vene», canta il divino Francesco De Gregori.
ILENIA CON IL PANCIONE – Puntuali, dopo il gol della tranquillità, l’abbraccio volante all’amico Daniele («Glielo avevo promesso»), ultrà in panchina, e il cuoricino spedito alla sua Ilenia, in tribuna con il pancione e la bimba in arrivo. «Il derby non mi è piaciuto. Penso a che cosa sarebbe stata una vittoria con uno stadio pieno, anche nell’altra metà degli spalti. Parlo anche per i tifosi della Lazio, non è giusto che si sia giocato così. Pensate al mio gol sotto la Sud piena… La fascia mi ha dato tanta spinta e coraggio a non mollare anche quando nel finale ero stanco. Il mio primo gol nel derby ha un fascino particolare perché abbiamo vinto e soprattutto perché volevamo regalare ai tifosi, quelli che stavano dentro ma soprattutto a quelli che stavano fuori, questa gioia. Io erede di Totti? Sarà Francesco a decidere il suo destino. E c’è anche Daniele, non ce lo scordiamo: sarebbe stato capitano se fosse stato in campo. Spero non ci si scordi del passato. Non avevo mai fatto grandi prestazioni nei derby perché li sento particolarmente e non gestivo bene la tensione. Sono riuscito a lavorarci, ora va bene. Il secondo posto? Difendiamo il terzo e attacchiamo il secondo, questo dobbiamo fare fino alla fine ma non sarà facile perché il Napoli è una grande squadra», il suo virgolettato con un sorriso grande così.