(E. Sisti) Il vago sapore di derby, nel derby senza gente, dura più o meno otto minuti. Contribuiscono al momentaneo equilibrio gli ingressi di Keita e Klose e un briciolo di timore nella dirompente Roma che arretra e rischia. Il pareggio sarebbe stata la negazione dell’evidenza, cosa che spesso capita in un derby, ma forse non doveva e non poteva accadere ieri. Escluso quel frammento di secondo tempo in cui la Lazio era tornata a sperare, la differenza è stata abissale.
Da una parte c’era la Roma, padrona dei suoi nervi perché padrona del campo, o viceversa, dall’altra la peggiore Lazio, molle sino all’invisibilità, costruita su una difesa improvvisata e un centrocampo di malaccorti fantasmi (Cataldi, Biglia e Parolo) che si spaventavano al rumore delle loro stesse catene e collezionavano un numero imbarazzante di palle perse, forse per depressione agonistica. Il derby, è noto, non si gioca, si vince. La Lazio si è fermata alla prima parte del dogma, mostrando i limiti di un sistema chissà da quanto tempo hackerato e reso mal funzionante dal generale malessere del gruppo. Scatenata dalla superiorità della Roma, la tempesta laziale è culminata con la contestazione dei tifosi a Formello, le cariche della polizia (15 fermati, un poliziotto ferito), un tentativo di aggressione a Lotito in un ristorante, l’esonero di Pioli, l’affidamento della squadra a Simone Inzaghi e il ritiro a Norcia. In campo la Roma (ora a -4 dal Napoli) non poteva immaginare che la zona nevralgica fosse così disabitata. I centrocampisti biancocelesti oscillavano a vuoto, minacciosi come sedie a dondolo. La Roma poteva scegliere ritmi e direzioni.
Nainggolan era un gigante, Perotti era ovunque, il Keita romanista era due calciatori in uno, se paragonato alla flebile resistenza di Candreva e Anderson, Pjanic non faticava. Alla prima accelerazione di palla El Shaarawy s’è ritrovato solo in area, libero di colpire (15’ pt). Come i biancocelesti abbiano preparato la partita rimane un mistero. Doveva essere l’ultima spiaggia per salvare la stagione. Dovevano entrare in campo affamati. Invece era come se qualcuno li avesse già masticati e digeriti. Non è mai facile gestire la tensione di un derby. Ma così è troppo. Ieri sono state corrose anche le ultime certezze e l’ultima qualità spendibile (che delusione Biglia!).
La formazione iniziale sapeva d’autolesionismo. E nemmeno poco. La Roma ha solo peccato di leziosità, altrimenti avrebbe risolto in anticipo («dovevamo chiuderla nel primo tempo », ammette Spalletti). Non è stata abbastanza cinica. Si è specchiata nella sua bellezza cercando tocchi d’arte e così facendo ha vanificato la propria portata di fuoco. Il tardivo raddoppio di Dzeko pareva comunque sufficiente (19’ st). Invece la squadra ha rallentato, s’è abbassata impaurita dai pali di Hoedt e Parolo, dalla rapidità di Keita e dalla testa di Klose. Ma è stato un attimo. Dopo la rete di Parolo, con Rüdiger sulla fascia di Florenzi e Zukanovic in mezzo, la Roma è ripartita scoprendo nella Lazio una specie di pan di spagna. Nessuna opposizione. Solo dolcezze per i palati giallorossi (peccato però che Totti, che non ha giocato, non sia andato a festeggiare sotto la curva). In caratteri leggibili anche fuori porta, Florenzi e Perotti hanno scritto il pesante fio: 1-4. Il primo a pagare è stato Pioli. Chi altro si candida?