(E. Sisti) Totti e Spalletti litigano davanti agli spogliatoi dello stadio di Bergamo. Fine acida ma non del tutto sorprendente. Covavano troppe tensioni e l’estinguersi progressivo dell’efficienza che ha rilanciato la Roma (e tenuto in panchina Totti) le ha fatte emergere di colpo. La Roma aveva appena concluso la sua squilibrata recita pareggiando una partita prima stravinta e poi strapersa (Borriello avrebbe meritato il 4-2). In poco più di sette minuti Totti aveva rimesso in piedi la baracca praticamente da solo. Lui e il suo intramontabile, disdegnato talento, lui che da luce è diventato una macchia, un sopportato, uno “straniero” da mettere in regola. Una rete e un assist dell’altro mondo per il possibile 3-4. Ma il punto è: in quale mondo vive Dzeko?
La Roma dalla personalità multipla era stata capace di buttarsi via e perdere aderenza proprio quando si sarebbe dovuta sentire più forte: sul 2-0. Al posto della superiorità si son viste gambe tremare, centrocampisti addormentarsi, schiacciarsi sulla propria difesa. Il tutto senza motivo. Mentre l’Atalanta risorgeva con Gomez e Borriello, la Rometta affogava nella sua ritrovata mediocrità psicologica, rendendo ridicola la generosità di Perotti e sin troppo evidente l’inadeguatezza di De Rossi e Dzeko (dei quali Spalletti si è fidato per la seconda volta consecutiva).
Umori fetidi al fischio finale. Spalletti era già stato espulso. Totti esce imbestialito nonostante le prodezze.
Li sentono in parecchi quando cominciano a stuzzicarsi. Spalletti non se la prende direttamente con la squadra: bensì con la sua storia. Totti non ci sta. Alza la voce, Spalletti lo incoraggia, le frasi sono sempre più secche e provocatorie. C’è chi azzarda: «Hanno rischiato di appendersi al muro». Spalletti replica: «Mai messo le mai addosso a un mio giocatore». Da grande bellezza a grande tristezza. Trigoria scopre che tra le ceneri dei vecchi campioni c’è ancora vita. Ciò infastidisce. Ora torna tutto in discussione, la classifica, il futuro, gli acquisti, le cessioni, la panchina, Totti, Pallotta. «Non cambia nulla», dice Sabatini. Ma ne siamo proprio sicuri? Tra la gente giallorossa serpeggiano malessere e malanimo, i social si scatenano. E’ probabile che un gol non basti per ripensare all’ipotesi di un allungamento del contratto. Ma dietro la porta chiusa di quello spogliatoio c’è ormai un mondo spaccato in due. Nello Spalletti Style, nel calcio flipper dei senza ruolo, Totti non è previsto. Se Totti entra e decide vuol dire che lo Spalletti Style non ha funzionato o il flipper s’è rotto e allora riappare la squadra di Totti. Non si sente giocatore: è ancora giocatore. Qualcuno non sopporta. Spalletti dice: «Abbiamo vinto nove partite senza Totti». Ma anche senza Dzeko e De Rossi. Totti nelle parti del redentore di giornata e Spalletti nella parte di chi deve sminuirne i meriti: «Quel gol Totti lo farà anche fra tre anni, sono altre le cose che non vengono portate alla luce». Ieri Totti ha evitato alla Roma di chiudere bottega in anticipo. Conterà qualcosa.
La situazione è questa. C’è un tale che gioca, sembra, a dispetto dei santi anche spezzoni di partita. Segna, sembra, a dispetto dell’età. Risolve e trascina il tifo, sembra, a dispetto di chi non vede l’ora di accompagnarlo alla porta: «Grazie Checco, è stato bello ma adesso vai e per favore non voltarti indietro». Il suo nome è Francesco Totti. E chiede asilo.