“Il Messia! Il Messia! La dovete fare finita di dire tutte queste cazzate!” “Alla facciaccia vostra, alla facciaccia vostra, e di tutti quelli che ne parlano male. Tre su tre ce ne ha risolte. Pallò chiama subito, chiama stasera: fagli il contratto. Bello de casa, bello de casa, bello de casa”. Bello de casa, tre volte. La notte romana passa così, sulle note di radiopallone e di questa stramba colonna sonora. In maniera un po’ pazza, come straordinaria e unica è la storia di Francesco Totti: 40 anni il 27 settembre 2016. Il Pupone che non invecchia mai.
La voce – o meglio The Voice, come lo chiamano in città – riempie la notte delle macchine in fila ai semafori rossi, dei capannelli ai chioschi sul Lungotevere, a Porta Maggiore, a Testaccio, a Ponte Milvio, dei bar-cornetteria H24 dove si raduna l’umanità tifosa a raccontare l’ultima epica impresa del capitano. Delle ormai rare edicole notturne che sfornano i giornali sportivi caldi caldi: “Un capitano, c’è solo un capitano”, il Corriere dello Sport titola direttamente dalla Curva Sud. E persino la milanese Gazzetta dello Sport si scioglie: “Totti sei un mito”. Il capitano pensionando ha staccato l’Inter e lancia l’attacco al Napoli, per la qualificazione diretta alla Champions League.
L’eco della grande serata di Roma-Torino non si è spenta. A notte fonda stanno tutti a sentire la radio, in particolare ReteSport, che manda i gol di Totti urlati a squarciagola da Carlo Zampa, The Voice appunto. Era talmente emozionato il radiocronista che al secondo gol di Totti, quello su rigore, si è messo a piangere in diretta, perdendo la voce per poi riprendere il fiato ed esplodere con quel fragoroso “Alla facciaccia vostra!”.
Alla facciaccia di chi? Beh, alla facciaccia di tutti. Chi avrebbe scommesso un euro su Totti? Amato e idolatrato come il Papa, ma anche benevolmente considerato “vecchio”, calcisticamente parlando. E dunque alla fine dei suoi giorni gloriosi, destinato ai saluti, alle battutine, alle pacche sulle spalle e soprattutto alla panchina. Da cui però si è alzato tre volte e per tre volte ha tirato fuori la Roma da un bruttissimo guaio, tenendola a galla proprio quando stava per sprofondare nei suoi soliti vizi di squadra tutta chiacchiere e distintivo. Che nel momento di vincere e di stringere – come fa straordinariamente bene la Juve, la sua ormai antica rivale – si perde nei suoi vizi e nelle sue piccole cialtronerie. Non ci fosse stato il pensionando, la Roma sarebbe all’amen della stagione.
Alla facciaccia di Luciano Spalletti dunque, che lo ha messo in panchina? Beh sì, un po’ sì. Del resto l’allenatore con lui si è scontrato più volte, perfino a brutto muso, in un litigio feroce a Bergamo. “La Roma non è Totti – aveva detto il mister – quel gol non è merito di Totti, è della squadra”. Atteggiamento antipatico, perché se Totti ha effettivamente l’ego di una superstar, non è che Luciano Spalletti gli sia da meno. Con la teatralità delle sue pause, dei suoi sorrisi e con quelle frasi esasperatamente lente, proprio perché devono colpire come un gancio alla mascella: “Quando io faccio la formazione non ho né padre, né madre, né figli, né parenti”. Tanto per chiarire che Totti, secondo l’allenatore che ha preso il posto di Garcia, portando la Roma, dal quinto al terzo posto, e con vista sul secondo, è ormai uno dei tanti.
Spalletti è un duro moderno, alla Ottavio Bianchi, alla Fabio Capello. Ma per quanto le ultime tre partite dicano il contrario, tutti i torti non li ha. Bisognerebbe insomma mettersi anche nei suoi panni. “Questa storia nasce e cresce su una serie di storie vissute che non la fa mai essere pari – ha detto dopo l’exploit del pensionando all’Olimpico – E’ una storia che ci mette contro, ma io sono coerente. So come vanno le cose e capisco che a lui questa situazione non vada molto bene. Io purtroppo devo fare la parte del cattivo, ma le scelte che faccio sono per vincere le partite”.
Totti se ne è andato a casa nella notte, dopo aver chiesto in campo quale fosse la telecamera giusta e aver mandato un paio di “Ti amo” a Ilary e ai figli. E un po’ anche alla Curva, che è schierata dalla sua parte. Lo stesso Spalletti ha detto che quel gol dopo una manciata di secondi dall’ingresso in campo – “effettivamente stavolta ho tardato qualche minuto a buttarlo dentro” – lo ha segnato perché l’atmosfera era quella giusta, il pubblico bollente. E’ stata la spinta dell’Olimpico a fargli mettere quel destro in spaccata: un quarantenne che entra in quella maniera sul pallone, rischiando di spaccarsi tutto come una vecchia marionetta di legno.
Il pugno alzato, poi il pollice in bocca a mo’ di ciuccio come fa ormai da anni, qualche selfie per i tifosi. E via, la storia continua. “E’ stata una bella emozione”, ormai Totti è diventato uomo di poche parole. Anche perché quando ne dice qualcuna in più succedono casini capitali. Vedi quando Spalletti lo cacciò da Trigoria prima della partita col Palermo. Con l’allenatore il rapporto è stato ricucito a forza. A forza di confronti, sorrisini per le telecamere e cene obbligate. Nello spogliatoio, prima della partita, durante la cerimonia della vestizione, col massaggiatore accanto, quando Spalletti gli è passato vicino Totti gli ha lanciato una battuta: “Oh, che me le devo far fare le caviglie?” I giocatori, Totti in particolare dato l’alto rischio di infortuni, se sanno che l’ingresso in campo è almeno probabile, si fanno rinforzare le caviglie con delle fasciature. “Falle, falle” gli ha risposto Spalletti. Totti ormai è il jolly da giocare quando le cose si mettono male.
Il toscano è sicuramente un tipo tosto, potrà anche apparire come il killer del Totti calciatore, ma ha messo così tanta rabbia in corpo al capitano, da farlo esplodere ogni volta che entra. E se lo facesse diabolicamente apposta? Non è mica uno stupido Spalletti. L’epilogo stavolta non è stato lo stesso di Bergamo, non è finita in lite. “Il ritorno nello spogliatoio è stato bellissimo, ci siamo abbracciati tutti: si torna a cena tutti insieme”.
Non sarà pace, ma qualcosa di simile. Sicuramente di questa storia non è scritta la parola fine. Totti non vuol smettere di fare il calciatore, soprattutto non vuole smettere di farlo con la Roma. Che a questo punto si dovrebbe sentire obbligata a fargli questo benedetto contratto di un altro anno, che gli permetta di scavallare i 40 anni. Così, anche solo per riconoscenza. E tutto sommato perché il Totti “alla Altafini” funziona, eccome. E’ come se la vita all’improvviso gli si sia allungata. Un po’ come la storia dei vecchietti di Cocoon e della piscina miracolosa.
Tre gol in tre partite, assist, la Roma presa in mano come quando di anni ne aveva dieci in meno. Non è solo un amore platonico, ma anche molto carnale: la Champions League ottenuta anche e soprattutto con i gol di Totti vale solo per ora 70-80 milioni. E che non si meriterebbe il nostro anche solo un 2-3% di commissione, sotto forma di contratto?
Non sappiamo ancora se la storia di Totti e della Roma avrà un lieto fine, manca ancora qualche partita per concludere il romanzo popolare. E potrebbero essere anche le sue ultime partite. Con dentro, forse, pure un tocco di soprannaturale. Prima ancora che entrasse in campo contro il Torino, Totti si stava scaldando mentre la Roma era sotto per 1-0. Calcio d’angolo: è lui, il capitano, che in quel momento passa da quelle parti con la pettorina, a sistemare la palla con cura sotto la bandierina. Ha acchittato la palla sul tappeto come fa un giocatore di biliardo. “Pronto, vai”, strizza l’occhiolino a Perotti, che batte per il gol di Manolas. Il tocco è magico.