Seydou Keita, ormai in scadenza con la maglia della Roma, parla a 360° della sua vita e della carriera da calciatore. Queste le dichiarazioni:
Le origini
Il gioco
Il primo cambiamento, quello più brusco, è quando a Lens viene arretrato davanti alla difesa. «Potevo scegliere: o diventavo un centrocampista centrale difensivo, o giocavo sulla fascia. E dato che mi piace toccare la palla e partecipare al gioco ho scelto di giocare al centro. Giocavamo con il 4-4-2: due centrali, due ali e due punte. Quando giochi al centro del centrocampo devi difendere bene, non puoi andare a fare il numero dieci. Ho dovuto forzare un po’ la mia natura, ho perso qualche qualità offensiva ma ne ho guadagnate altre difensive». Dopo il Lens il Siviglia, e dopo un anno il Barcellona. «A Siviglia ero un po’ nello stesso sistema di Lens. Anche se in Spagna si gioca di più la palla ero comunque un centrocampista difensivo. Da Siviglia a Barcellona è stato un cambiamento. Un altro modo di pensare il calcio, di giocare, di allenarsi. Ma poi è successo tutto naturalmente, anche grazie ai compagni e all’allenatore, certo». E nonostante i tanti cambiamenti, tutto è sempre sembrato naturale. «Io mi sono adattato bene dovunque sia stato. Ad esempio dopo la Cina sono stato a Valencia ed è andata molto bene. Anche a Roma, nonostante qualche infortunio che ho avuto, sto benissimo. È che mi adatto a quello che mi trovo davanti. Per giocare a calcio bisogna essere pronti mentalmente. Intelligenti». Su Guardiola: «Non è un filosofo, no», dice Seydou. «Ma è un grande allenatore che ama far giocare bene le sue squadre, collettivamente, e controllando il gioco».
Il calcio per Keita
«Mi piacciono tutti quelli che fanno bene il proprio lavoro. Che giocano bene a calcio, che fanno degli sforzi che non sono per forza visibili. Recuperare una palla è altrettanto importante di fare un assist. Questa è la mia idea di calcio. Mi piacciono i giocatori che si impegnano per la squadra, non quelli individualisti». Si racconta che nel 2009, prima della prima finale diChampions League tra Barcellona e Manchester United (2-0), Guardiola avesse chiesto a Keita di giocare terzino. E che Keita abbia rifiutato preferendo la panchina. «Non è che ho rifiutato», dice ridendo, «è che non sono egoista. Ho giocato i quarti di finale, la semifinale… in finale c’erano Dani Alves e Abidal squalificati, Henry e Iniesta che rientravano da un infortunio. Eravamo in tre per due posti a sinistra: mezzala e ala. Più il posto di Abidal squalificato. E rispetto ad Henry e Iniesta era più facile che giocassi io a terzino. Ma quando stai per giocare una finale di Champions League non puoi fare l’egoista. E se sbaglio una linea, sbaglio un fuorigioco e prendiamo un gol? Non potrei mai perdonarmi. Sono solo stato sincero con l’allenatore. Gli ho detto: la scelta spetta a te, ma se il Barcellona perde per colpa mia non potrei perdonarmelo. C’è un terzino sinistro, io do solo la mia opinione, poi sei tu che decidi».Continua: «Dopo averci riflettuto ha scelto Silvinho, e io sono entrato al posto di Henry. Abbiamo vinto e siamo stati tutti felici e contenti. Ma se avessi giocato terzino magari le cose sarebbero andate male, chi lo sa? E da quel giorno con Guardiola abbiamo avuto buoni rapporti, perché sa che penso prima alla squadra che a me».
Pepe
Durante un Clasico particolarmente infuocato, ai tempi di Mourinho, Pepe ha rivolto a Keita uninsulto razzista. Keita se l’è presa e ancora anni dopo, durante un’amichevole con la Roma, si è rifiutato di dargli la mano. «È inutile che racconto di nuovo quella storia. Ti posso dire che l’ultima volta, quando abbiamo giocato a Madrid sono andato a salutarlo e ho capito che si è sentito sollevato. Perché dopo una punizione è venuto verso di me mi ha detto: Gracias. Nella vita si può sbagliare, e poi è vero anche che io sono stato duro con lui, perché non capivo, perché per me siamo uguali, anche Pepe è nero come un nero». Sul razzismo: «Il razzismo è un problema di educazione. Le persone ne soffrono per strada tutti i giorni e io non voglio mettermi in avanti perché ne soffro molto meno rispetto agli altri. Se ne parlo ne parlo per gli altri, perché per me è molto raro. Le persone per strada soffrono molto di più». E comemusulmano che ne pensa di chi critica Salah perché si inginocchia dopo aver segnato? «È solo ignoranza. Vedo molti giocatori che si fanno il segno della croce, che cambia? È la stessa cosa. Per me queste sono sciocchezze.»
Roma
L’arrivo alla Roma. «C’erano molti francesi e per il clima e perché è una grande squadra». Per la Roma ha rifiutato il Liverpool: «Ho sentito che non era la scelta giusta. E non rimpiango di essere venuto qui, a parte qualche piccolo infortunio…». Si interrompe e si corregge: «Che poi ho avuto l’infortunio peggiore della mia carriera, per fortuna da gennaio sono tornato a un buon livello e ho giocato quasi sempre». Su Spalletti: «Non è cambiato molto per me personalmente. Spalletti è molto esigente con tutti i giocatori ma non con me in particolare. Quello che è cambiato per me è che ho fatto due partite brutte, a Bologna e a Barcellona (lo scorso novembre, poi non ha più giocato fino a gennaio ndr), dove giocavo con una gamba sola. Non era previsto che giocassi quelle partite, perché sentivo dolore. Mi faceva male anche guidando. Ma le circostanze hanno obbligato l’allenatore a farmi giocare. Poi qualcuno ne ha approfittato per criticarmi e oggi sembra che Spalletti mi ha cambiato. Ma se è vero che tatticamente è molto bravo, ed è molto esigente, io ho soprattutto tutte e due le gambe».
Il futuro
«Non ho mai forzato il mio addio da un club, le cose si sono sempre fatte in maniera naturale. Ho avuto l’opportunità due volte di andare in Qatar, l’anno scorso e a gennaio. Anche se in Qatar avrei guadagnato di più, l’allenatore e i dirigenti mi hanno detto che se fossi andato via sarebbe stato complicato sostituirmi. Il rispetto è importante e ho pensato al bene del club. E sono felice della scelta, ancora oggi sono molto contento».
Fonte: Ultimo Uomo