(M. Mensurati) – Giuliano Tavaroli, ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom, è stato a suo modo, uno dei protagonisti di Calciopoli, il più grande scandalo della storia del calcio, di cui domani ricorrono i dieci anni. Era il 2 maggio 2006 quando la Figc ammise di essere in possesso di «ampia e copiosa documentazione concernente la trascrizione integrale di un rilevante numero di conversazioni telefoniche ». L’inizio della fine.
Tavaroli, c’è ancora chi ritiene che Calciopoli sia scoppiata su mandato dell’Inter e che sia stato lei a selezionare e a dare ai pm di Napoli le telefonate dell’inchiesta.
«Una ricostruzione folle. Nei mesi caldi delle intercettazioni, io già non ero più in Telecom: ero in Romania per la Pirelli. Ed era già stata fatta la prima perquisizione nell’inchiesta sulle vicende in Telecom. Vicende nelle quali non è mai stata trovata alcuna intercettazione abusiva, o abusivamente utilizzata. È invece vero che l’Inter avrebbe potuto far scoppiare lo scandalo molti anni prima. E non lo fece».
La vicenda Facchetti-Nucini?
«Il grande prologo di Calciopoli. Di cui si è parlato spesso ma raramente in maniera corretta. Facchetti era dirigente dell’Inter. Nucini, arbitro di Serie A. Era il 2001. L’Inter di Moratti, ancora scottata da episodi come quello del famoso fallo di Iuliano su Ronaldo, era frustrata. “Sentiva” che c’era qualcosa di strano, di extra-sportivo nelle mancate vittorie, ma non sapeva cosa. Poi un giorno arrivò Nucini e gli disse che era tutto vero».
Come andò?
«Era a fine carriera, cercava una sistemazione per il futuro e raccontò tutto. Durante numerosi incontri raccontò di come era stato avvicinato da De Santis. Raccontò di un incontro con Moggi in un albergo alla periferia di Torino dove era stato condotto con modalità da spy story. Disse delle offerte che aveva ricevuto. E illustrò il funzionamento del sistema. Dal punto di vista psicologico la cosa ebbe un impatto notevole su Moratti, che era così disperato per le mancate vittorie che poco prima aveva provato a portare Moggi a Milano… Fatto sta che mi chiamano. E dopo una prima indagine trovo conferme al racconto di Nucini».
Il famoso dossier “Operazione ladroni” emerso nel processo Telecom. Chi scelse il nome?
«Sono un grande tifoso del Toro ».
Capisco.
«Moratti è a un bivio: scelta a), la più efficace, mandare tutto a un nucleo investigativo, attribuendo a Facchetti, che aveva registrato quelle conversazioni, il ruolo di fonte confidenziale; scelta b), fare un esposto generico ai pm. Scelse la b. Disse che non voleva “rompere il giocattolo”».
Cosa intendeva?
«Non lo so. Allora pensai che temesse enormi danni al calcio italiano, oltre che a Facchetti. La denuncia la fece lo studio legale Mucciarelli, e il fascicolo andò all’ottima Ilda Boccassini».
Che però non ne fece nulla.
«L’esposto era molto generico. Lei chiamò Nucini che non confermò quanto detto a Facchetti, e tutto finì archiviato».
La Boccassini non aveva i cd con le registrazioni?
«No».
Che fine hanno fatto? Sono ancora nello studio Mucciarelli?
«Penso di sì».
Se l’Inter avesse scelto l’altra strada?
«Sarebbe emerso prima quello che venne fuori dopo. E cioè che nel calcio c’era un sistema in cui il rapporto tra potere e risultati del campo non era determinato da questioni solo sportive».
Si dice che lei oggi abbia un ottimo rapporto con Moggi.
«È un uomo molto intelligente. Ho passato anni a convincerlo che all’orgine dei suoi guai non c’ero né io né Moratti né l’Inter».
Ci è riuscito! Due giorni fa ha detto che è stato Galliani.
«Siamo sicuri che la responsabilità sia stata tutta di Moggi? Lui continua a dichiarare che faceva quello che facevano tutti… In Italia i congiurati sono sempre moltissimi. Troppi. E sono certo che Moggi stesso in certi momenti abbia sospettato che l’intrigo avesse avuto inizio dentro la Juventus… C’era appena stato un cambio generazionale importante e in pochi guardavano con simpatia a tutto il potere che quel fenomenale diavolo stava concentrando nelle sue mani».