(E. Menghi) – Da punto di domanda a «salvatore» della Patria con la moria di centrocampisti che ha colpito la Nazionale.Daniele De Rossi si è rimesso in gioco come un ragazzino in cerca dell’approvazione dell’allenatore e, nonostante un problemino fisico, è riuscito ad entrare nei 23 di Conte per la spedizione francese. Non ha certezze sul futuro, né azzurro né giallorosso, ma adesso pensa solo al prossimo obiettivo: «Essere convocato – dice da Coverciano – era il primo passo, ora voglio giocare questo Europeo e vincerlo. Non c’è una scadenza per la Nazionale, la deciderà il prossimo cittì. C’è chi annuncia il ritiro, ma è una furbata. Io lascerò ogni porta aperta, se un giorno ci sarà Italia-Far Oer e non si arriverà a 23 io ci sarò. Non si dà l’addio alla Nazionale a meno che non si abbiano problemi fisici gravi».
A proposito di infortuni, come sta?
«Mi sento bene come non mi sentivo da tanto tempo. Il tendine per me è una parte delicata, da un anno e mezzo non sentivo più dolore, ma il fastidio è riuscito fuori, forse per colpa di campi troppo duri. Si tratta di un’infiammazione, quindi non passa se non ti fermi. Ma non è grave come la raccontate».
Si è mai risparmiato con il club per la Nazionale?
«Non mi sono mai allenato in prospettiva dell’Europeo. Un paio di infortuni in stagione me li sono fatti per rientrare prima con la Roma. Se avessi pensato solo all’Italia sarei stato al caldo del mio palchetto a vedere i compagni. Si era anche riaperta la possibilità di ottenere il 2° posto, quindi gli obiettivi erano due a maggio: finire bene con la Roma e ottenere la convocazione per Euro2016».
Ha dovuto faticare di più, rispetto al passato, per essere scelto?
«Nel 2010 e nel 2012, anche fallendo un’amichevole a ridosso delle convocazioni, sapevo di finire nei 23. Conte invece conta molto sulla condizione atletica ed è stata decisiva anche la partitella in allenamento per dimostrare la mia condizione. Tanti allenatori puntano a motivare il gruppo, ma lui ci riesce veramente. Non siamo i favoriti, però abbiamo l’orgoglio storico degli italiani e possiamo battere ogni squadra. Nella Roma ho vissuto situazioni simili, con una rosa che non era stata costruita per vincere, ma ce la giocavamo con chiunque».
Il senso di appartenenza può fare la differenza?
«Non siamo qui a salvare la Patria, però ho sempre dato grande rilevanza a questa maglietta, così come a quella della Roma, sentendomi incaricato di qualcosa di importante. Ritrovare l’orgoglio nazionale con il calcio è più facile: bisognerebbe unirsi».
Come ha vissuto lo scontro tra Totti e Spalletti?
«È sempre spiacevole quando ci sono tensioni nello spogliatoio, soprattutto tra uno degli allenatori più forti della storia della Roma e il giocatore più forte della storia della Roma. Ma chi ha parlato di questa vicenda non dava un aiuto, anzi creava scompiglio e per questo io continuo a tacere».
Il numero 10 all’Europeo sarà Thiago Motta, lei aveva pensato di poterla (ri)indossare?
«Quando ho preso il 10 non l’avevo chiesto ed era diventato subito un caso di geopolitica per quello che vuol dire a Roma giocare con questo numero. Io penso che Thiago non l’abbia chiesta, ma accettata, e lui non è inferiore a Totti, Baggio o Del Piero tecnicamente. Venite a palleggiare con lui e vedrete come tocca il pallone. Bisognerebbe sciacquarsi la bocca prima di parlare di un giocatore del genere che ha vinto tutto con le squadre di club».
Sarebbe servito Pirlo a questa Nazionale?
«Poteva risolverti la partita. Mi manca la sua presenza qui, ma l’allenatore ha fatto una scelta e lui anche, andando a vivere nel posto più bello del mondo».
Anche lei si vede in America in futuro?
«Mi piacerebbe un giorno fare questo tipo di esperienza. Non mi vedo al Milan, all’Inter o alla Juve, ma a un calcio emozionalmente lontano dalla Roma. Un distacco totale per non competere contro la squadra del mio cuore».