Le parole di Bruno Conti, ex stella della Roma e attuale dirigente giallorosso, riguardo all’organizzazione dell’amichevole Roma-Liverpool il prossimo 1 agosto in territorio americano:.
“Se vogliamo parlare di attualità, il Liverpool dopo aver fatto un percorso esaltante in Europa League ha chiuso il suo cammino con la delusione della sconfitta in finale, mentre la Roma viene da un grande lavoro di fine stagione”, ha dichiarato Conti ad asroma.com a margine dell’evento di presentazione della sfida. “Non voglio parlare dei miei ricordi passati, ma il Liverpool mi riporta alla memoria della finale persa ai calci di rigore. Senza dubbio queste due squadre il primo agosto offriranno uno spettacolo che esalterà gli americani”.
Gli ultimi due incontri amichevoli hanno visto la Roma vincere in America contro i Reds, entrambi giocati a Fenway. Pensi che i giallorossi possano riuscire a vincere anche la terza sfida?
“Quando si gioca in fase di preparazione bisogna valutare un insieme di aspetti e non dobbiamo dimenticare che siamo nell’anno degli Europei, quindi certi giocatori non prenderanno parte alla torunée. Alla base, però, c’è una stagione da costruire e bisogna dare il massimo per cercare di vedere da subito l’identità della squadra in vista della prossima stagione”.
Vincere le partite nei tour estivi ha un significato per i calciatori o si tratta solo di spettacolo per i tifosi?
“Nulla va mai preso sottogamba e non è vero che queste partite non contano nulla. Come detto, saremo in fase di preparazione di una stagione importante: e non dimentichiamo che dovremo anche giocare i preliminari. In campo nessuno vuole mai perdere e queste sono anche sfide importanti in cui si possono fare le giuste valutazioni sul futuro”.
La Roma e il Liverpool hanno cambiato allenatore a stagione in corso. Che giudizio dai al campionato di Jurgen Klopp e Luciano Spalletti dopo il loro arrivo: noti qualcosa in comune tra i due tecnici?
“Non dimentichiamo quello che ha fatto Klopp al Borussia, tutto parte dalla sua cultura del lavoro: ha messo su una squadra in cui tutti correvano e si aiutavano. Anche il Liverpool rispecchia molto quel modo di giocare. E questo è quello che anche Spalletti ha portato in questa squadra. Certi risultati non si ottengono se la squadra non si muove alla stessa maniera e se fisicamente non sta alla grande . Roma e Liverpool sono espressione della filosofia dei due allenatori in panchina, di quello che cercano ogni giorno di trasmettere ai propri giocatori. Un esempio lampante è il sacrificio degli attaccanti nel possesso palla degli avversari. Sono certo che Klopp e Spalletti continueranno a fare grandi cose”.
Saint Louis ha una grande comunità italiana: ti aspetti di vederne in tanti al match?
“Su questo non ho dubbi e spero faranno tutti il tifo per noi allo stadio”.
La Roma ha un grande seguito negli Stati Uniti: pensi che questo sia dovuto anche alla Roma dei tuoi tempi?
“È probabile ed è una cosa che ho anche notato nella mia recente esperienza con la proprietà americana. Sentirmi dire da Alex Zecca che il papà era innamorato di Bruno Conti, così come lo stesso presidente Pallotta, beh, fa sempre piacere. Vuol dire che il calcio era seguito anche ai tempi, soprattutto dopo la nostra vittoria ai Mondiali nel 1982”.
Il calcio non ha avuto mai tanto successo come ora negli Stati Uniti. Perché ci ha messo così tanto?
“Ovviamente si tratta di uno sport che non era nel DNA degli americani, ma ora è diventato realtà. Negli States ora si studia il calcio e questo è un aspetto molto importante. Adesso ci sono giocatori importanti, come Del Piero o Giovinco: significa che si sta sviluppando un interesse notevole nel calcio. E si nota anche dal lavoro che sta facendo i vari settori giovanili”.
Con un Paese così grande e tanti ragazzi che praticano questo sport, la Roma ha lanciato un programma di Academy negli Stati Uniti.
“Le Academy giallorosse in America voglio insegnare il calcio che si gioca alla Roma e trasmettere la nostra cultura del lavoro. Aggiornarsi con software e programmi e cercare di crescere talenti in un Paese così grande è un programma affascinante, che porterà sicuramente i suoi frutti. Da qui a poco tempo negli Stati Uniti lo sviluppo del calcio vedrà un ulteriore incremento: non ho dubbi”.
Qual è il livello di questi ragazzi? Credi che ne vedremo qualcuno giocare nella Roma nei prossimi anni?
“Pensiamo a Bradley che è venuto in Italia e poi è stato acquistato dalla Roma. Quello che serve ai ragazzi americani è un grande lavoro nei settori giovanili per sviluppare la tecnica sotto tutti i suoi aspetti fondamentali. Come ho detto, qui si studia molto, si gira il mondo per capire: aspetto fondamentale per crescere. Penso che al più presto vedremo diversi ragazzi in Italia, anche molto bravi”.
Nel tuo passato da calciatore della Roma hai fatto tre tournée negli Stati Uniti. Che ricordi hai di quelle esperienze?
“Ricordo con piacere quella in cui affrontammo i Cosmos nel 1980, quando c’erano Beckenbauer e Neeskens. Durante la cerimonia di premiazione era presente anche Pelé e feci di tutto per scattarmi una foto con lui che ancora custodisco gelosamente. C’era già interesse nel calcio in America in quegli anni e già giravano giocatori incredibili. Erano gli inizi, ovviamente: si giocava in dei campi utilizzati per altri sport, spesso c’erano le doppie righe sul campo e Francesco Rocca in una partita sbagliò e si fece una delle sue corse su una corsia sbagliata. Furono esperienze molto simpatiche. Su quei campi mi esercitai anche con qualche colpo di baseball, sport che praticavo da ragazzo. Ero un lanciatore mancino: gli americani restarono impressionati, ma erano anni ormai che avevo scelto il calcio…”.