(A. Angeloni) Se lo osservi da fuori sembra che porti le scarpe d’allenamento senza i calzini e ti chiedi come faccia, poi guardi bene e noti dei leggeri fantasmini. Luciano Spalletti si distingue così, con la gamba scoperta per dare un effetto Ormar Sivori, ondeggia per il campo a impartire ordini. In tribuna rimbomba il suo toscano inconfondibile e tutti lo ascoltano in silenzio. Ogni tanto si sente un «daje mister» ad accompagnare le sue camminata a testa bassa, sempre intento a riflettere; lo trovi sul terreno, agguanta il pallone, lo lancia in aria, altissimo, lo riprende e lo rilancia ancora. La leggenda narra che una volta, questo palleggio incontrollato lo abbia fatto davanti a Totti e lui, Lucio, gli avrebbe poi detto: «Francesco, questa cosa la sanno fare in due al mondo: io e Luciano Spalletti». Immaginiamo come abbia reagito il capitano, che di tocchi di palla se ne intende. Spalletti è questo: alterna momenti distensivi, richiamando il sorriso dei suoi calciatori, ad ore di lucidità e lavoro maniacale. Ha il fisico per calarsi nel ruolo di leader, perché sa perfettamente che è/sarà lui l’ago della bilancia della stagione e lui dovrà essere per forza ascoltato, e non solo dai calciatori. Tutto rimbomba perché ripensiamo allo scorso anno di questi tempi, quando l’allenatore, Rudi Garcia, viveva con tutt’altro umore, non certo da leader. Da un depotenziato a un potenziato al cento per cento, un anno dopo.
TRASCINATORE Spalletti è quello che trascina Totti, spingendolo, davanti alla folla di gente lì solo per chiedere un autografo o una foto. Lo fa fare al capitano e lui stesso si presta al bagno d’entusiasmo. Piace alla gente, gli piace e sa di piacere, di mettere d’accordo tutti. «Ho fatto un’ora di allenamento e quattro di autografi», sussurra alla fine della seconda seduta di lavoro il tecnico della Roma. Poi, sempre Lucio, lo trovi – dopo aver diretto per almeno un’ora esercizi su possesso palla e ripartenze rapide – insieme con Gyomber da una parte del campo: lui e lo slovacco, per una mezzora a passarsi il pallone. Lucio spiega al difensore come si calcia, come si deve rinviare di destro e di sinistro, a chi dare il pallone quando si è in una posizione del campo o in un’altra. Passaggio corto, lungo, rinvii etc. I fondamentali, insomma. Siamo tornati indietro nel tempo quando, certi esercizi li conduceva Liedholm, così ci racconta chi ha vissuto l’epoca romanista del tecnico svedese. Spalletti è tutto in questo momento, è quello che reagisce pure male a chi, tra i tifosi curiosi, gli chiede perché a Pinzolo non ci sia il preparatore dei portieri, Guido Nanni. Una domanda interessata forse, e questo irrita il tecnico. «Dammela tu la spiegazione, io posso parlare dei miei collaboratori, la società deve avere uno staff suo forte e non vedo perché mettere in mezzo certe questioni». Risposta che non lascia spazio a grosse repliche.
UNICO OBIETTIVO Spalletti vuole vincere e non ama le rotture di scatole (citando Conte…), vuole che il gruppo sia unito e che corra per il suo stesso obiettivo. In questi giorni ha voglia di capire chi possa essere da Roma o no, chi abbia la testa giusta per lavorare e imparare. Si fida di tutti agisce di testa sua: al lavoro, tra i preparatori Norman e Lippie, un nuovo professionista, Marcello Iaia (un passato al Manchester United e al Palermo), più un altro suo collaboratore, Alessandro Pane, che si è aggiunto agli storici Andreazzoli, Franceschi, Baldini e Domenichini.