(F. Angeli – F. Salvatore) Due bombe carta lanciate contro un pullman di tifosi con sopra bambini e disabili, l’invito provocatorio ai partenopei a bordo a scendere giù. Poi l’insegumento di Ciro Esposito e 7 secondi dopo, la pistola puntata ad altezza uomo da 30/50 centrimetri di distanza. Quindi gli spari (che sono 4), il ferimento di Ciro, che morirà dopo 55 giorni di agonia. E l’assassino che smette di sparare solo quando ha esaurito il caricatore.
Nelle 40 pagine delle motivazioni della sentenza con cui due mesi fa Daniele De Santis, ultrà giallorosso, è stato condannato a 26 anni di carcere, la Corte ricostruisce, passo dopo passo le scene di una guerriglia urbana «che sono un unicum» nella capitale, scrive il giudice Evelina Canale.
«Tra testimoni palesemente reticenti e periti imparziali, i giudici hanno ritenuto più credibili ha dichiarato l’avvocato Tommaso Politi difensore di De Santis resto convinto che il condizionamento mediatico sia stato determinante ». Eppure nelle carte che hanno portato alla decisione della Corte si parla di «bambini che hanno visto De Santis impugnare la pistola e non hanno dormito la notte», di «filmati testimoniali e della Digos che mostrano l’intera sequenza», di «testimoni che hanno visto premere il grilletto», e della dichiarazione di Esposito, in ospedale di fronte alla foto del suo assassino «è questo il chiattone che mi ha sparato».
Nulla è stato casuale quel 3 maggio 2014, poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, tanto che, scrivono i magistrati della terza corte d’Assise, De Santis «aveva elaborato un piano preordinato che prevedeva la provocazione contro un pullman di tifosi inermi». Per i giudici non era solo al momento dell’aggressione al pullman, ma spalleggiato da almeno altre sei persone, non identificate. «È certo – si legge nelle motivazioni che detti ‘supporters’ romanisti erano stati convocati da lui per organizzare un vero e proprio agguato contro l’invisa tifoseria partenopea».
La corte sottolinea come i fatti costituiscano un “unicum”. «In altri episodi – si legge – mai si è fatto uso di armi da fuoco, giungendo al massimo all’uso del coltello, ma mai usato per uccidere, bensì sempre e solo con l’intenzione di procurare ferite superficiali, come quelle subite dall’imputato, appunto le ‘puncicate’. Ed è indubitabile che l’intensità del dolo dimostrato da De Santis, fino a lambire le forme della premeditazione, sia massima». Tanto che la pistola che porta con sè è carica e con il colpo in canna. L’uso della cocaina assunta nel corso di un festino della notte precedente con due prostitute ha, secondo i giudici, dato quella sensazione di «onnipotenza» a De Santis tale da non farlo rendere conto del numero «soverchiante» di persone pronte ad aggredirlo dopo le sue provocazioni.