Dal 2018 la Champions League è pronta a cambiare volto. Italia, Germania, Inghilterra e Spagna avranno quattro posti garantiti. Le big vogliono contare sempre di più. E guadagnare di più. Ma l’Italia merita davvero quattro posti?
Chiamatela pure Uefa Big Money League. La Champions che la Uefa è in procinto di disegnare dal 2018 pare proprio l’anello di congiunzione per arrivare alla Superlega europea. Il progetto segna il trionfo dei grandi club, che vedranno aumentare peso politico e risorse economiche a spese dei campionati di minor prestigio del Vecchio Continente. La metà dei posti disponibili, 16 su 32, verranno assegnati di diritto alle prime quattro classificate in Serie A, Bundesliga, Liga e Premier League. Altri dieci andranno così distribuiti: due alle prime classificate in Francia, Portogallo e Russia, uno rispettivamente alla squadra campione in Ucraina, Belgio, Olanda e Turchia.
Solo sei squadre dai playoff – Le terze di Francia, Portogallo e Russia, le seconde di Ucraina, Belgio, Olanda e Turchia e i campioni dei 44 Paesi rimanenti dell’orbita Uefa si giocheranno ai playoff gli altri sei posti a disposizione. Cambierà anche la distribuzione dei ricavi: i risultati conteranno di più, il market pool peserà solo per il 20% e si terranno in conto anche il bacino d’utenza e la storia del club. Possibili anche wild card per garantire comunque un posto a squadre di prestigio come il Manchesterr United o il Milan.
Italia: meritiamo 4 posti? – Proprio i rossoneri restano l’ultima italiana ad aver superato i preliminari in Champions, introdotti nel 1997-98. In quella prima edizione, fu il Parma a entrare nella fase a gironi attraverso gli spareggi grazie al doppio successo sul Widzew Łódź: 3-1 in Polonia con tripletta di Chiesa, 4-0 al ritorno grazie alla doppietta di Sensini e ai gol di Pedros e Adailton.
Il Milan è anche la squadra italiana più affidabile, capace di superare tre volte i preliminari, nel 2003 (battuto lo Slovan Liberec 1-0 in casa e 1-2 in trasferta con gol qualificazione di Inzaghi), nel 2007 (doppio successo 1-0 e 2-1 sulla Stella Rossa) e nel 2014 (1-1 e 3-0 contro il PSV Eindhoven). Compessivamente, le squadre italiane hanno passato il turno 18 volte, ma solo in due delle ultime otto doppie sfide. Dal 2010, poi, nessun’altra squadra di Serie A, a parte il Milan, è entrata dagli spareggi. E la domanda rimane, ancor di più dopo il fallimento della Roma: ce lo meritiamo davvero un quarto posto per diritto?
La vittoria dell’ECA – Con il nuovo sistema, sottolinea con qualche timore Gabriele Marcotti su ESPN,”i ricchi diventeranno sempre più ricchi”. La riforma raggiunge così l’obiettivo della European Clubs Association (ECA). Per il presidente dell’associazione, Karl-Heinz Rummenigge, l’attuale formato rischia di generare “stagnazione” e “regressione” se le squadre provenienti dai campionati cosiddetti minori non risultano abbastanza competitive. Una situazione che, però, è il combinato disposto delle norme restrittive imposte dalla Uefa sul fair play finanziario, nate con l’obiettivo di rendere la Champions più livellata e trasformate presto nel suo contrario, in uno strumento di restrizione all’ingresso, e sul nuovo design dei playoff per aumentare le nazioni rappresentate nella fase a gironi.
L’attuale distribuzione – Per il triennio 2015-18, la Champions League distribuiece 1,257 miliardi di euro, di cui 50 milioni alle squadre che partecipano ai preliminari. I 1207 miliardi rimasti vengono divisi in due tronconi. Il 60%, 724,4 milioni, viene distribuito in base ai risultati: ogni squadra incamera 12 milioni per la qualificazione alla fase a gironi, più ulteriori 1,5 milioni per ogni vittoria e 500 mila per ogni pareggio. Il passaggio agli ottavi garantisce 5,5 milioni e poi a salire 6 milioni per chi arriva ai quarti, 7 per le semifinaliste, 10,5 per la finalista, 15 per chi vince il titolo. Il resto, il market pool (482,9 milioni) dipende dal peso televisivo delle nazioni con almeno una squadra nella fase a gironi e, per ciascuna nazione, dal piazzamento di ciascun club nel campionato precedente e dal numero di partite disputate in Champions.
Agnelli non contento – Il sistema garantisce così 13 milioni almeno per squadra e un premio da circa 100 milioni di euro per chi conquista il titolo. Tuttavia Andrea Agnelli, presidente della Juventus che ha incassato 89,1 milioni dalla UEFA nell’anno della finale e del record di fatturato, ha sottolineato che la Champions incassa meno dai diritti tv dell’NFL, la lega di football americano, che ha sì lo stesso numero di squadre al via ma genera un interesse decisamente minore al di fuori degli Stati Uniti.
Contrastare la Premier – Il timore non detto, ma evidente, sta però nel confronto con la Premier League. Quegli 89 milioni riconosciuti alla Juventus, infatti, sono appena una decina in più di quelli che in Inghilterra ha guadagnato dalla partecipazione alla Premier League 2015-16 l’Aston Villa, desolatamente ultima l’estate scorsa.
Sogno Superlega – E proprio i top club inglesi, rivelava il Telegraph, si sarebbero riuniti nei primi mesi dell’anno per spingere verso la creazione di una vera e propria Superlega europea. Proprio questa lobby attiva, secondo il presidente del Galatasaray, almeno da tre anni secondo quanto sosteneva lo stesso quotidiano britannico, è alla base della riforma. E la possibilità di vedere i club di maggior richiamo, magari con la possibilità di una wild card per meriti sportivi storici, diventa un atout per attirare ancora più sponsor e per alzare il valore televisivo del prodotto Champions League. Ma i principali team d’Europa sostengono di avere un ruolo maggiore nella creazione di valore e vogliono una fetta più grande della torta. Di fatto, quello che già si è visto a livello nazionale all’epoca della nascita dell’attuale Premier League o della definizione dei criteri di distribuzione dei diritti tv in Serie A in base al decreto Melandri.
Champions per pochi – Proprio le formazioni della Premier League, però, hanno deluso di più negli ultimi anni e hanno lasciato spazio al dominio spagnolo in Champions, che sta diventando sempre più scontata.Un interessante studio di Daniel James Plumley e Stuart Fint della Sheffield Hallam University dimostra come dal 1999-00 al 2013-14 le squadre in prima fascia nel sorteggio della fase a gironi ottengono sempre più punti e una miglior posizione in classifica delle formazioni nelle fasce più basse. In sostanza, in queste quindici stagioni, un gruppo ristretto di squadre ha monopolizzato la competizione e di fatto smentito la teoria comune secondo cui in un periodo di tempo medio-lungo la riduzione della competitività fa scendere l’interesse degli spettatori per una competizione sportiva.
2015, le nuove fasce – Un meccanismo che rinforzava lo status quo e permetteva rendite di posizione di lungo periodo, ostacolando l’ingresso di formazioni emergenti ad alto livello. Dal 2015, la Uefa ha cambiato i criteri della definizione delle fasce e assegnato la prima alla detentrice del trofeo e alle sette squadre vincitrici dei campionati più importanti, in rappresentanza delle nazioni con il miglior ranking Uefa.
Verso le elezioni Uefa – Questa nuova riforma, però, segna un nuovo passo indietro. Alexander Ceferin, lo sloveno che ha l’appoggio di Infantino e Tavecchio e sembra il favorito per succedere a Platini come nuovo presidente dell’Uefa, sembra mettersi dalla parte delle grandi squadre. Esclude l’idea di una Superlega chiusa, ma ammette che “la Champions League, il miglior prodotto sportivo del mondo, non è al primo posto per ricavi. Per questo, una delle principali questioni che il nuovo presidente dovrà affronntare sarà il rapporto con i grandi club”.
Alla finestra rimangono i cinesi di Wanda, i nuovi padroni di Infront, che vogliono dire la loro al tavolo che riorganizzerà il calcio europeo. Anche questa è la globalizzazione.