(C. Zucchelli) – Mancano meno di 10’ alla fine quando lo spicchio di curva Sud collegata alla Monte Mario canta il «che sarà sarà», colonna sonora di tutte le peggiori notti della storia romanista. Questa di fine estate, che più che un sogno è un incubo, non fa eccezione: il resto dello stadio non segue il coro, c’è silenzio, qualcuno fischia, qualcun altro applaude, la sensazione più comune è l’incredulità. In tribuna c’era Falcao, Bruno Conti era in curva con i tifosi. Fuori lo stadio, sui social network, e soprattutto dentro. Perché nessuno si aspettava di qualificarsi senza soffrire, ma una «botta del genere, terribile» non era stata prevista da nessuno. E pensare che la serata era iniziata nel migliore dei modi: sugli spalti 40mila spettatori, un flop qualche anno fa, un successo di questi tempi. L’Olimpico magari non si presentava con l’abito di gala, ma con un vestito buono sì, con la Sud piena di tifosi (non i gruppi organizzati) e la Tevere quasi colma. Tanti bambini, col settore famiglia sold out, tanta voglia di Roma, tanta voglia di Champions League: «È la partita, la aspettiamo da otto mesi», aveva detto Luciano Spalletti alla vigilia e la gente lo aveva preso in parola. Meno, evidentemente, la sua squadra.
FISCHI E APPLAUSI – Cori per tutti all’inizio, inno cantato a squarciagola, ma il gol del Porto gela tutti, le espulsioni di De Rossi ed Emerson fanno il resto, quando arriva il 20 c’è anche qualche applauso d’incoraggiamento, alla terza rete però piovono soltanto fischi. E «la società dei magnaccioni» che chiude la serata, insieme agli applausi a Casillas, serve davvero a poco. Il tracollo è pesante, nessuno si aspettava una batosta del genere, soprattutto dopo il pareggio dell’andata e il poker all’Udinese di tre giorni fa. Sembra già un’altra vita.
LUPO TRISTE – Non se l’aspettava certamente Daniele Lupo, vice campione olimpico di beach volley. All’andata aveva visto la partita con il Porto da Casa Italia insieme a Malagò, la sera prima della finale contro i padroni di casa del Brasile, ieri sera era seduto accanto alla fidanzata Alice e al presidente in tribuna autorità nonostante fosse sbarcato daRio poche ore prima. «Non potevo rifiutare l’invito del presidente – ha raccontato – . Non dico niente per scaramanzia né sullo scudetto né su stasera (ieri, ndr), speriamo solo di giocare bene». La Roma non lo ha accontentato, meglio allora dormirci su e pensare alle vacanze («a Fregene, poi magari partirò») e soprattutto al’argento conquistata con le unghie e con i denti insieme a Nicolai a Rio: «In questo momento è a casa, presto la metterò in banca. Non sia mai entrassero i ladri… All’inizio c’era un po’ di amarezza per la finale persa, adesso, come succede sempre dopo 23 giorni, ci siamo resi conto di quello che abbiamo fatto». Lupo era all’Olimpico – anche – per conoscere Totti, «un campione», e gli ha regalato la sua canotta. Magari gli porterà fortuna per campionato e Europa League, ma non ne lenirà la malinconia.
CIAO CHAMPIONS – In panchina le telecamere cercano spesso il capitano: il suo sguardo impietrito è quello di qualsiasi romanista, ma forse a lui fa un po’ più male. Perché chi era allo stadio la Champions tornerà a vederla, magari «con lo scudetto sulla maglia», scrive qualcuno su Twitter, e a sognare di vincerla, ma lui no. Il capitano saluta la coppa più bella senza aver potuto aiutare la sua squadra neanche per un minuto. L’addio all’Europa, quella più prestigiosa s’intende, resterà la standing ovation al Bernabeu. Un bel ricordo, almeno quello.