(D. Stoppini) – Come si passi dal «questa è una delle squadre più forti che abbia mai allenato» al «se non reagiamo è già finito tutto, abbiamo poca personalità» in sole 200 ore, è un classico esempio della crisi di rigetto – per la verità un po’ posticcia – che sta vivendo la Roma. È bastato un amen, Porto e Cagliari, per trasformare l’ottimismo di Luciano Spalletti in una rabbia che neppure a fine aprile, steso sul campo per un’occasione sciupata come fosse l’eliminazione da una semifinale diChampions. Un po’ troppo, un po’ troppo tutto. Troppo prima, a poche ore dal ritorno del playoff. E troppo ora, in un campionato ancora tutto da giocare. L’equilibrio, la solidità mentale: concetti che Spalletti pensava di aver inculcato ormai nella testa della sua Roma. E invece, come in un perfido gioco dell’oca, rieccoci al punto di partenza.
VERTICE – La storia e la cronaca, strumenti utili per spiegare. C’è la storia di una squadra che puntualmente sbaglia quando deve decollare e decolla solo quando sa di poter sbagliare. L’ha rifatto ora perché forse s’è sentita già bella e brava, dopo un girone di ritorno a ritmi da vertice e una ripartenza al ritornello del «siamo forti, per lo scudetto ci siamo anche noi» e via così. Ma alla storia è giusto preferire la cronaca, ogni squadra ha un percorso diverso. Se lo sono detti ieri a Trigoria lo stesso Spalletti, WalterSabatini, Mauro Baldissoni e Ricky Massara: minuti dentro una stanza a ripercorrere il 22 di Cagliari e a capire cosa manchi alla Roma. Cosa manca sul mercato, certo. Ma cosa manca nella testa, soprattutto. Perché se a balbettare non sono solo i nuovi, ma anche i giocatori che ti hanno trascinato al terzo posto la scorsa stagione – Florenzi, Perotti, El Shaarawy giusto per citarne tre – allora vuol dire che va riprogettato un lavoro in profondità.
L’ATTACCO – Dopo la partita Spalletti era un allenatore profondamente colpito in maniera negativa dalla prestazione della Roma. Ci ha pensato un attimo e ha deciso di andare giù duro con la squadra. Così non lo aveva mai fatto: parole non banali, accuse dirette ai giocatori, un modo per non concedere alibi e per mettere tutti davanti alla responsabilità di un momento no. Giurano che non gli sia partito qualche colpo, giurano che l’abbia pensata proprio così e che in privato, dentro lo spogliatoio, sia stato ancora più pesante. Magari la teatralità della rabbia finale qualcuno a Trigoria l’avrebbe volentieri evitata. Ma in fondo è come guardare il dito, mentre qui c’è da ritrovare la via per la luna. La casella numero uno è sempre quella: equilibrio, solidità mentale. Lo ripeterà lo stessoSpalletti ai giocatori la prossima settimana: non ha potuto farlo ieri, senza i nazionali. Con il gruppo al completo il tecnico approfondirà nuovamente il concetto. A patto di evitare le naturali controindicazioni del caso.