E’ il giorno dell’addio per Walter Sabatini, il direttore sportivo che tra intuizioni e flop ha provato a rilanciare la Roma della proprietà americani, dal suo sbarco nella capitale del 2011 fino ad oggi. In conferenza stampa da Trigoria il dirigente umbro spiega i motivi della sua scelta di separarsi dal club romanista.
Parla subito il direttore Sabatini: “La prima volta che sono entrato qui stavo meglio con la pressione, ora mi opprime. Pensieri e parole fluivano efficacemente. La mia primissima conferenza non la ricordo benissimo, ora potrei anche tornarci. Questa è ancora la mia squadra, ci sarà una presenza psicologica e attiva, non fisica, sentendomi ancora partecipe. Ho ancora la possibilità di vincere qualcosa dunque. Ho fatto un ciclo di 5 anni, c‘è una struttura che funziona, ci sono stati momenti che le nostre squadre prima o poi avrebbero potuto competere per un risultato eclatante, lo Scudetto. Non è successo e ciò è il mio grande rammarico, mi procura tristezza cupa ma sono sereno perché crediamo di aver fatto il massimo. Non mi vergognerei di questa Roma, sono anni che è competitiva, ha fatto due anni il secondo posto, a volte il terzo con l’avvento di un allenatore straordinario. Sono stato il ds della Roma, esclusivamente il ds della Roma. Ho annullato la mia persona fisica e giuridica, non ho fatto nulla in 5 anni che fosse dettato da questo incarico. Non ho fatto davvero nulla senza sapere di essere il direttore sportivo. Questa esperienza non è stata una frazione di vita, bensì la vita. Sento di aver vissuto per la Roma, e sono geloso di questo sentimento, preoccupato di chi verrà dopo“.
Qui presenti oltre ai giornalisti anche le persone che lavorano a Trigoria. Che effetto le fa?
“Le ragazze sono le mie badanti, mi hanno sostenuto, curato, nutrito. Mi dispiace molto perderle. Vedo tanta altra gente alla quale ho voluto silenziosamente bene. Ho sentimenti dentro di me che implodono, so bene quanto la mia permanenza a Trigoria sia stata sostenuta da tanti, qui c’è tanta competenza, fidatevi di loro. Questa è un’azienda che sta ancora dentro i suoi obiettivi. La prima volta che sono venuto qui ho parlato con enfasi ed entusiasmo, ero ancora il d.s. in pectore, dissi tante cose ma una in particolare: ero qui per costruire una rivoluzione culturale. In questo risiede il mio fallimento, ma ho portato la Roma a sedersi nel calcio che conta, un insidia per tutti, ho fatto un mercato rissaiolo, la Roma c’è sempre stata. La rivoluzione culturale è imponente, si riferiva ad un’esigenza, pensare alla vittoria come una necessità, non credo di aver centrato l’obiettivo. In questo senso sono deluso, qui si perde e si vince alla stessa maniera, la nostra vera debolezza“.
I tre momenti più belli della sua esperienza alla Roma?
“Innanzitutto quando ho messo piede qui dentro, ero motivato e ottimista, so di aver fatto cose importanti. Pensavo però a cose trionfali, che la Roma si imponesse come azienda, squadra, gruppo. Credevo a tutto questo, però è stato un momento pregnante e motivante. Poi ricordo delle vittorie, il derby con il tanto vituperato Ibarbo, costato soli 2 milioni poi recuperato. La sua percussione nel derby fece segnare al vituperato Iturbe di vincere e portarci in Champions League, deciso da due calciatori discussi. Ricordo il gol di Bradley a Udine, la nona vittoria poi completata con il Chievo con il gol del ‘problema’ Borriello. Tanti ricordi ma anche brutti, come il derby di Coppa Italia che però aiutò a modificare un certo pensiero, cambiare indirizzo con successo. L’idea di non essere riuscito a vincere lo Scudetto mi resterà a vita con rammarico, a meno che non succeda qualcosa quest’anno. Sarà la mia squadra quando vincerà o perderà“.
Dentro la Roma c’è una corrente di pensiero che vede Totti come massima espressione di calcio. Gli altri così non si prendono responsabilità?
“Io a Totti darei il pallone d’oro per la fisica, riconoscegli le cose che ha regalato al calcio italiano. Le giocate di Totti non sono ripetibili. Si porterà con se’ giocate che tutti non potranno riprodurre, le sue parabole possono aver rimesso in discussione Copernico, Keplero, la relatività, il bosone di Higgins. Ma costituisce un tappo, una luce abbagliante e oscura un gruppo di lavoro anche per la curiosità morbosa che si riferisce ad ogni suo fare e dire. Comprime la crescita di un gruppo di calciatori subordinati a questo, Totti è un pezzo di carne di gente che è cresciuta con lui, invecchiata con lui. Tutti fanno fatica a staccarsi e rinunciarci, un fenomeno che andrà raccontato“.
Come si concilia tutto il suo lavoro con la continuità di un percorso tecnico vincente?
“Intanto dico che Massara non è il mio delfino, bensì un professionista competente che non ha legami con me. Ora eserciterà il suo ruolo con educazione rigida, lo vedrete parlare con un livello di educazione che io non ho mai compreso. Mi sostituirà e farà bene il suo lavoro. La Roma avrà un suo futuro, ci sono dirigenti molto importanti, diffamati puntualmente. Un giorno qualcuno di voi ha l’esigenza di indebolire la Roma, attraverso la demolizione costante e preventiva. C’è la tendenza a far diventare Baldini un massone, Baldissoni un calciatore di calcio a 5, magari distruggerete anche Gandini. Le sconfitte della Roma sono tutte le mie, non è la stampa che ha perso ma c’è una brutta abitudine. Meglio che la Roma sia debole, così i latrati a pagamento hanno una propria funzione, io fra 20 minuti non sarò più il direttore sportivo e non faccio polemica. Parlate di una Roma forte, sostenetela, gli altri lo fanno con le squadre più importanti. La schizofrenia? Mi riguarda personalmente, una necessità perché la Roma in maniera statica non può fare il mercato che vuole, deve fare un calcio rissaiolo, fare un po’ di casino. Questa è la mia caratteristica chimica, giusto pensare alla continuità, e qui c’è stata. Ma non siamo stati fortunatissimi, l’ultimo calciomercato è stato statico, non mi somigliava ma abbiamo voluto puntellare la difesa. Abbiamo perso giocatori per infortuni e qualche disastro c’è stato. E’ stato necessario fare un mercato pirotecnico per ottenere gli obiettivi, in virtù della pressione Uefa e riuscire a rimanere in linea coi parametri rischiesti“.
Difficile giudicare il suo lavoro; se si sonda l’umore dei tifosi le ironie si sprecano. Non crede che anche loro fossero interlocutori? Non pensa che vendendo il materiale tecnico si depauperasse il valore della squadra? Ha mai fatto a pugni per qualche calciatore?
“La mia anima è talmente complicata che non la comprerebbe nessuno. Se io vendo Benatia e compro Manolas non credo di aver procurato un danno, prendo un utile e compro un altro calciatore. I calciatori venduti sono stati sempre adeguatamente sostituiti, ho pensato di non indebolire la squadra. Come se perdo Ljajic e compro Perotti, anche se adoravo il serbo. Operazioni di mercato con un ricambio favorevole, senza perderci. Alcuni casi sono stati fortunati, altri meno. La Roma è stata competitiva, non abbiamo vinto ma siamo stati una squadra che dà fastidio a chiunque. Abbiamo avuto la sventura di fare un campionato da 85 punti quando la Juventus ha fatto risultati irripetibili. Non credo di aver prodotto un danno agendo così, abbiamo dovuto farlo per essere competitivi. Dentro questo scelte ho fatto anche qualche ‘pateracchio’, ma tante cose hanno funzionato“.
Pallotta secondo lei sa cosa significa la Roma? Oppure è un business?
“Lo sa perfettamente, quando viene qui e quando gira per Roma. Sa bene quale passione va incentivata, il segreto del successo nel calcio è la passione popolare. E’ anche una questione culturale, lui è un imprenditore americano, un bostoniano allegro, incline allo studio della statistica, alla frequentazione di meeting. Io sono un europeo crepuscolare e solitario, forse addirittura un etrusco residuale. Lui vive e pensa al calcio come le sue aziende, io in maniera diversa. Conflitti chiari con rispetto reciproco e l’idea di essere arrivati alla risoluzione lo dimostra. Pallotta si è sempre fidato di me e di chi ha lavorato proficuamente nella Roma. Milan e Inter oggi vorrebbero essere la Roma, siamo incappati in un ciclo straordinario della Juventus. Abbiamo fatto un secondo posto in volata con Garcia, abbiamo ripreso il cammino con Spalletti che ha una media-scudetto. C’è competitività, poi arriverà la coincidenza fortunata che porterà a vincere lo scudetto. Magari questa stagione succederà qualcosa di imprevedibile“.
Pausa sigaretta di qualche minuto per Walter Sabatini…
Ha parlato di una società in salute. Ma i motivi per cui ha cercato di andare via dalla Roma già a gennaio e ora decide di lasciare…Pensa di avere concluso un certo percorso, come i rinnovi?
“Nainggolan non è all’ordine del giorno, ha chiesto un adeguamento ma credo gli si attribuirà un premio. Stiamo negoziando e non è ancora finita la cosa. I calciatori si devono rendere conto che la società ha iniziato la stagione con dei presupposti poi abortiti, come la qualificazione Champions. Sono negoziazioni inevitabili, portate avanti da Mauro Baldissoni, ma non è una priorità assoluta. Speriamo che la squadra si metta in testa di fare bene in campo. Sono cambiate le regole di ingaggio, so fare solo il mio calcio, non posso cambiare i miei criteri di valutazione. Il presidente puntano su altre prerogative, sulle statistiche e sugli algoritmi vincenti. Io punto invece sulla fantasia, non vedo il pallone come un oggetto sferoidale, ma il mio universo intero. Voglio deviare le traiettorie quando sono in tribuna, vorrei fargli piegare il piede allo stop. Vivo il mio calcio che non può essere riportato alle statistiche, che aiutano e tradiscono. Se prendiamo un terzino e la statistica dice che ha fatto 12 cross in una partita, magari non tiene conto della connessione che c’è nel calcio. Il terzino fa 12 cross perché magari vicino ha un Totti che gli da i palloni giusti, mentre magari un terzino che fa un cross e mezzo a partita è perché ha vicino chi non lo sa servire. Non voglio combattere queste tesi, voglio e devo fare il mio calcio e non intendo cambiare. La società e alcuni collaboratori puntano su altre possibilità, sono inclini ai meeting, io invece più alla mia sofferenza notturna tra sigarette e video. Poi magari prendo il povero Piris, utilissimo ma non da Roma. Con un po’ di fortuna l’avere supera il dare“.
Lei verrà sostituito da una macchina?
“No, da una cultura, un modo di fare molto utilizzato. Sono io che ritengo di non essere in grado di farlo. Sono un presuntuoso critico di me stesso, ma devo fare il mio calcio. Qui posso farlo un po’ di meno, nel rispetto di tutti, in particolare di Pallotta. Sono un uomo leale, so di non poter essere completamente me stesso. Avevo mosso un calciatore sudamericano poi perso per arroganza e sicurezza, sentendo anche alle mie spalle tante considerazioni e ho perso l’attimo fuggente. Una cosa che non mi succede mai, generalmente ci arrivo subito. Io merito e ho meritato la Roma, ho fatto cose importanti. Al mio posto? Mi fido delle vostre idee. Non voglio dire chi era quel calciatore, sono ancora incazzato, voglio sportivamente morire. Se fossi un direttore sportivo simmetrico adesso dirò che farò viaggi studio, invece cercherò una tana, un buco dove nascondermi e stare zitto 15-20 giorni e anche non ascoltando nessuno. Devo raccogliere le idee, questo episodio è stato decisivo nel decidere di non essere più il direttore sportivo”.
Ci spiega il ruolo di Franco Baldini?
“Per ora c’è Massara come d.s., è una decisione repentina. Poi lui meriterà di fare questo mestiere a lungo perché onesto e competente. Baldini vi deve spiegare, si è confrontato con me prima di accettare questo incarico da parte di Pallotta, mi ha chiesto se provavo fastidio. Ho detto di no perché avevo già deciso di andar via. Lui è un grande acquisto per la Roma, fatto salvo che è un massone come Baldissoni. Non sto polemizzando con voi, solo con alcuni individui. Parliamo ora di commissioni: quante battute avete fatto? Con queste si acquistano i calciatori, c’è la parcellizzazione in alcuni territori. Queste battute sui soldi, vacanze, mignotte, le isole, le tangenti…Le commissioni le hanno prese chi le doveva prendere, la Roma è una società onesta. Chi ride e allude venisse con me in Tribunale, tirassero fuori i fatti, si associno gli individui in un consorzio ‘Cialtroni e co.’, gente che può perdere qualcosa. Io oggi sono persona fisica e giuridica, giocatevi i vostri soldi e io non li darò in beneficenza. Me li gioco tutti!”
C’è già un futuro per Sabatini dopo la Roma?
“Non ho nessuna offerta, da parte di nessuno. Da oggi pomeriggio sono disoccupato. Per me la vita è un corollario, non ho vissuto tanto la vita, vivo solo se lavoro e faccio il mio mestiere. Spero che qualcuno mi cercherà, posso accettare un lavoro ovunque, l’importante è che possa fare il mio calcio. Se nessuno mi raccatta mi posso pure chiudere nel bagno di casa mia“.
Ha detto ai tifosi di non affezionarsi ai calciatori. Non pensa che in questo caso la Roma abbia sbagliato il suo bersaglio con lo stadio sempre più vuoto?
“Con uno come Totti gli altri restano in penombra e non sviluppano il carattere per poter rendere grande la Roma. Ho detto di non affezionarsi ai calciatori perché il calcio moderno lo ritiene. Non capisco perché non si possa affezionare a Perotti, Salah, Nainggolan o quella cariatide di Dzeko. Vi affezionerete a Bruno Peres, basterebbe l’assist a Edin domenica scorso. Inevitabilmente il calciatore dopo 2-3 anni è ceduto per costrizione, diventa un problema salariale insormontabile. La Roma ha un tetto da rispettare, se un calciatore va oltre una certa prestazione è dura gestire la questione salariale. Io sono tanto affezionato ai miei calciatori, non vedo perché non lo debbano essere gli sportivi“.
Le è mai capitato se qualcuno le suggerisse chi comprare. C’è un calciatore che voleva trattenere e qualcuno che non è riuscito a comprare?
“Comprare un centinaio, altri li avrei voluti tenere ma cito uno in particolare: Erik Lamela. Cederlo mi ha ucciso, lui è stata la mia provocazione. Volevo che la Roma avesse subito forza e presenza, andare a prendere un giovane talento argentino per dire ci siamo anche noi, iniziare a fare spallate. Fu un’operazione complicata, ma per un giocatore splendido, che dopo l’infortunio si presentò con un gol al Palermo straordinario. Ha fatto un secondo anno molto migliorato con Zeman. Venderlo è stato un dolore, ogni volta mi sono sentito male, edulcorato comprando giocatori ritenuti da me più forti. C’è sempre qualcuno che mi suggerisce di comprare, io puntualmente non lo faccio. Faccio prevalere comunque il senso del calcio e l’interesse della società, una volta in vent’anni mi è capitato“.
Ha la sensazione che Pallotta si sia stufato della Roma?
“Non penso proprio, è un privilegio per lui, lo vive con grande passione. Naturalmente è molto attaccata l’idea di rendere forte la Roma, ha l’esperienza del basket e sa che lo stadio darebbe una percentuale più alta di essere competitivi a livello internazionale. Migliorerà mandando via un d.s. discutibile come me. Speriamo abbia la fortuna di farlo. Signori, è stato un piacere. Solo un favore: non scrivete domani attacco alla stampa“.
GGR