In cinque anni – e più – di gestione americana, la Roma ha raccolto in Europa un bottino che dire misero è un eufemismo: 25 partite, 4 successi, 11 pareggi, 10 sconfitte, di cui due per 6 e 7 gol. E ancora: la Roma ha incassato 50 reti, perfetta media di due centri a partita, e ne ha realizzate appena 33. Le vittorie sono arrivate contro Cska Mosca, Feyernood, Leverkusen e Astra Giurgiu, non esattamente l’élite del calcio europeo.
La beffa, per una società che della voglia di espandere marchio e marketing nel mondo ha sempre fatto il suo manifesto, è che le reazioni alle batoste italiane ci sono state (dopo il derby del 26 maggio sono arrivati due secondi posti targati Garcia), mentre quelle ai k.o. europei sono mancate.
Dal 2011, la Roma ha vinto appena il 16% delle partite europee e mai era andata così male. Non sono stati solo i grandi club come Bayern, Real, City e Barcellona a mettere in crisi i giallorossi (appena due punti raccolti su 24), ma anche squadre di pari livello o di categoria nettamente inferiore (un punto racimolato col Bate Borisov, per fare un esempio). Questa dimensione poco europea del club rischia, col tempo, di essere un problema non solo per il prestigio, ma anche per le casse – scrive la Gazzetta dello Sport -, perché i proventi della Champions sono fondamentali per mantenere alto il livello di competitività e far fronte in modo adeguato al rimborso delle rate del finanziamento di 175 milioni stipulato nel 2015 con Goldman Sachs (e con scadenza 2020).