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GAZZETTA DELLO SPORT Sabatini saluta: “La mia rivoluzione a Roma è fallita”

Sabatini
Sabatini

«Ero qui per stimolare una rivoluzione culturale, ed è stato il mio vero fallimento – ha detto Sabatini nella conferenza di addio di ieri –. Ovviamente so di aver fatto degli errori, però ho portato la Roma a sedersi su tutti i tavoli del calcio che contano grazie a un mercato rissaiolo. Sulla rivoluzione culturale, mi riferivo solo a un’esigenza, cioè pensare alla vittoria non come una possibilità, ma come una necessità. Non penso di averlo centrato, ma ho ancora qualche speranza che succeda, visto l’allenatore che c’è, Spalletti. Comunque mi sento molto deluso: qui si perde e si vince nella stessa maniera, questa è la nostra vera debolezza. L’idea di non essere riusciti a vincere uno scudetto mi perseguita, la terrò per tutta la vita, a meno che questa squadra non faccia cose imprevedibili».

Molto rumore hanno fatto le sue parole intorno a Totti: «Tutti vogliamo Totti. Io gli darei il premio Nobel per la Fisica. Le sue traiettorie hanno messo in discussione Copernico, Keplero, la Relatività. Totti però costituisce un tappo, perché porta una luce abbagliante e oscura tutto un gruppo di lavoro. La curiosità morbosa che c’è per ogni sua espressione dentro e fuori dal campo, comprime la crescita di un gruppo di calciatori».

Poi – scrive la Gazzetta dello Sportriguardo al proprio successore: «Mi succederà Ricky Massara, che non è un mio delfino ed è bravissimo, ma nella Roma ci sono dirigenti vituperati e diffamati: Baldini un massone dannoso, Baldissoni un arrogante imbucato e anche lui massone. Attenzione: non vi sto accusando di niente, le sconfitte della Roma sono tutte mie e in quota anche di qualcun altro. Non è un attacco alla informazione, ma all’abitudine. Il mio mercato? C’è stata una strategia che mi è stata affidata: se vendo Benatia e compro Manolas non ho prodotto un danno, produco un utile e lancio un altro giocatore. Ci sono rischi notevoli, è vero, ma i calciatori venduti sono stati adeguatamente sostituiti, nel saldo dare-avere ho cercato di non indebolire la squadra. Il danno è nel fatto che, mancando la continuità, non si arriva mai a coagulare una unità di intenti, ma abbiamo dovuto farlo per essere competitivi. Milan e Inter vorrebbero essere la Roma, però siamo incappati in un ciclo della Juve straordinario, Paratici e Marotta hanno fatto scelte superiori».

Poi su di sé: «Non ho squadre, sono disoccupato, ma io posso fare solamente il mio calcio, non sono una mente elastica che riesce ad adeguarsi a nuovi criteri. Il presidente è un imprenditore, vede il calcio come un’azienda. Lui e i suoi collaboratori stanno cercando un algoritmo vincente, io invece vivo d’istinto, il mio calcio non può essere freddamente riportato alla statistica. Le statistiche aiutano ma tradiscono. Non voglio combattere queste tesi, ma non intendo cambiare. Le cantonate le ho prese, ma l’avere supera nettamente il dare. Vengo sostituito da una cultura non censurabile, io ritengo di non essere all’altezza di questo compito. Devo fare il mio calcio e qui ora posso farlo un po’ di meno». Chiude con la rivendicazione orgogliosa sul pagamento delle commissioni. «Le ha prese chi doveva prenderle, non ci sono prebende per nessuno, la Roma è una società onesta, io sono un uomo onesto». E dopo aver visto la partitella del pomeriggio della squadra, ha lasciato Trigoria un po’ commosso. Tornerà presto per salutare la squadra. Spalletti abbracciandolo gli ha detto: «Potevi dirmelo prima, avrei provato a convincerti a restare».

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