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IL FATTO QUOTIDIANO Barriere stadio Olimpico, perché l’Osservatorio dice inesattezze?

Le barriere montate all'Olimpico (foto: La Repubblica)
Le barriere montate all’Olimpico (foto: La Repubblica)

(S. Meloni) “Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Un fiorino!”. Non ci resta che piangere calzerebbe a pennello per descrivere in poche battute l’elefantiaca, e a tratti tragicomica, situazione che avvolge la gestione dell’ordine pubblico allo stadio Olimpico di Roma. E sì che nelle ultime settimane qualcosa sembrava muoversi; dopo le dichiarazioni di giocatori attuali e del passato in casa giallorossa, che auspicavano un ritorno alla normalità nelle curve della Capitale, anche il presidente del Coni, e quindi gestore dell’Olimpico, Giovanni Malagò, lo scorso mercoledì si è espresso con fermezza: “È un dato di fatto che, al di là dei pochi spettatori presenti allo stadio Olimpico, non solo non c’è stato un incidente ma neppure un mezzo problema, sia dentro che fuori all’impianto. Nella vita quando tu dimostri di essere serio, capace e per bene, meriti anche di avere fiducia”, aggiungendo come la questione sia“in fase di risoluzione”.

Dichiarazioni in totale contrasto con l’intervista alla presidentessa dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, Daniela Stradiotto, pubblicata nella stessa giornata all’interno della rubrica Spy Calcio di Repubblica. La numero uno dell’organo ministeriale (che teoricamente avrebbe soltanto un potere consultivo, mentre in pratica dispone, ormai da quasi un decennio, divieti e limitazioni su base geografica e meramente burocratica, vedasi interdizioni per innocui strumenti di tifo come tamburi e megafoni) ha inizialmente sottolineato come “non esista alcuna vessazione nei confronti dei tifosi di Roma e Lazio”, continuando con il leitmotiv degli ultimi mesi (imbracciato a più riprese dall’ex Prefetto Gabrielli e dal Questore D’Angelo): “Si sta compiendo un percorso di legalità, quando verrà terminato e le tifoserie dimostreranno maturità le barriere verranno abbassate”. Verrebbe da chiedere se durante questo percorso ci si è accorti che l’unico obiettivo centrato è lo svuotamento dello stadio e un malcontento generale che accomuna in maniera trasversale società, tifosi e buona parte del carrozzone calcistico? Non si capisce come si faccia a negare la persecuzione del tifo organizzato romano. Forse alla Dott.ssa Stradiotto sfuggono innumerevoli ed eloquenti episodi: le interminabili e pericolosissime code di Roma-Real Madrid, le multe per striscioni raffiguranti icone della cultura popolare come Sordi e Proietti, le multe per il cambio posto. Oltre che le palesi provocazioni di Roma-Siviglia e Roma-Juventus, le minacce di Daspo ai tifosi che rimasero fuori dallo stadio per Roma-Sassuolo tifando pacificamente e molteplici episodi di questo genere. Ma soprattutto: se una parte di tifosi romanisti è rientrata, se buona parte della Nord laziale è tornata al proprio posto, se i settori popolari si sono a più riprese riempiti, senza che nulla sia mai accaduto sotto il profilo dell’ordine pubblico e se chi boicotta l’Olimpico riempie solitamente i settori ospiti non arrecando danni e problemi perché le barriere non vengono tolte ma continua a esser ripetuta la formula scolastica “se fate i bravi vi togliamo i divisori” senza una conseguenza pratica?

Perché viene utilizzato un sistema punitivo di massa, anziché quello, teoricamente contemplato da ogni democrazia, del “chi sbaglia paga”? Si reprime ciecamente per eliminare ogni forma di dissenso, incentrando la propria attenzione sul risvolto sociale e aggregativo della curva e non certo su fumogeni e scavalchi. Che tuttavia vengono ancora utilizzati come giustificazione, nonostante la favola dei 3/4.000 “saltatori seriali” a partita sia stata più volte smontata. “Il caso dell’Olimpico è particolare: in curva c’erano oltre 11 mila persone compatte e tutto si faceva tranne incitare la propria squadra: spaccio, droga e attività illecite. Quindi l’autorità di pubblica sicurezza ha dovuto prendere dei provvedimenti, perché non è possibile occupare la scala di sicurezza“. Oltre a non capire ilcollegamento tra l’occupazione delle scale di sicurezza e l’eventuale svolgimento di attività illecite, viene da chiedersi come sia possibile che tali attività avvenissero in un posto iper sorvegliato da telecamere e agenti di polizia. Sarebbe interessante, da parte degli organi preposti, avere un documento che enumeri gli arresti o le denunce per succitati reati, contestualmente alle partite di Roma e Lazio. Perché gettare questi concetti nel vuoto, può dare l’idea di voler per forza ingrossare lo stereotipo del tifoso curvaiolo, per giustificare delle operazioni il cui insuccesso è sotto gli occhi di tutti. Se c’erano “11.000 persone compatte” a foraggiare queste attività, stiamo parlando di una vera e propria associazione a delinquere. Veramente avveniva questo nelle curve della Capitale? E veramente per anni le istituzioni lo hanno permesso? Il problema è che la Dott.ssa Stradiotto, e come lei i tanti che hanno appesantito leggi repressive e restringenti in fattore di manifestazioni sportive, non è un’appassionata di calcio (per sua ammissione in un’intervista che coincise con il suo insediamento all’ONMS) e di conseguenza difficilmente avrà messo piede in uno stadio. Un po’ come far riparare una tubatura a un fornaio.

“Gli spettatori – continua nell’intervista – debbono adeguarsi e capire che bisogna sedersi ai propri posti così come si fa al teatro o al cinema. Solo il prefetto e il questore conoscono la realtà del posto sotto l’aspetto della sicurezza”. E perché mai lo stadio dovrebbe essere come un teatro o un cinema? Mentre in tutta Europa si cerca di adibire settori dove i supporter possano tifare con strumenti da noi vietati da anni, in Italia si vuole trasformare uno sport popolare in uno show business regolato da paletti burocratici. La maggior parte dei tifosi pagano il biglietto proprio per far parte di questo spettacolo fatto di cori, colori e un po’ di sana confusione (ciò non vuol dire che gli eccessi non debbano essere puniti, ovvio che la violenza vada sempre e comunque arginata e stigmatizzata.Sebbene negli ultimi anni incidenti ed escandescenze abbiano subito un drastico calo). Questa frase è molto più chiara di quanto sembri: l’obiettivo è disarticolare e sciogliere qualsiasi forma di tifo folkloristico. Quando questo può assolutamente convivere con il rispetto delle regole e senza barriere. Cosa peraltro teorizzata dall’Osservatorio stesso nella sua “famosa” task force, erroneamente invocata da Gabrielli e D’Angelo per giustificare l’apposizione dei divisori, “e in un progetto dal nome eloquente: “Stadi senza barriere”

“Il modello – ha concluso la Stradiotto – è quello dello Juventus Stadium. Tuttavia in Italia c’è una pluralità di standard negli stadi e spetta a Comuni e società adeguarsi“. La pluralità di standard, in soldoni, altro non è che la libertà di tifare in piedi, con bandiere, striscioni, cori e colori che hanno reso il calcio italiano celebre in tutto il mondo. Questa pluralità ha un altro nome: normalità. E non è un caso se soltanto a Roma se ne avverte la mancanza. Anche lo Juventus Stadium, citato dalla presidentessa come modello, fa parte di questa normalità. Basta vedere una qualsiasi partita dei bianconeri per notare come, giustamente, la curva si produca nel classico tifo all’italiana che a Roma viene concepito alla stregua del peggior crimine contro l’umanità. Si vuole portare il modello Juventus Stadium nella Capitale? Ne sarebbero tutti ben contenti, vorrebbe dire poter tornare a fare i tifosi senza esser chiamati “delinquenti”. Perché per la delinquenza ci sono leggi apposite da applicare. Senza bisogno di retorica e di forzare dati non veritieri affinché diventino reali.

Per ora ci si limita a carpire il clima che attanaglia la città in tal senso. E per farlo basta chiudere con l’episodio avvenuto a un tifoso del Trastevere Calcio (Serie D) qualche settimana fa, durante la partita contro l’Agropoli: il ragazzo, che peraltro lavora presso una parrocchia di zona, è stato fatto oggetto di sanzione pecuniaria (da 1000 a 5000 Euro) e denuncia per “vilipendio a un corpo dello Stato” dopo aver intonato il coro “Redaelli pezzo di m…”. Tale Redaelli, nella fattispecie portiere della compagine trasteverina e amico del tifoso, è passato alle orecchie dei funzionari presenti come “Gabrielli”, facendo scattare il provvedimento. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, pensando a un Paese che, dalla politica ad alcuni esimi personaggi istituzionali, di vilipendio ci vive quotidianamente. Ma, a quanto sembra: “Non esiste nessuna vessazione nei confronti dei tifosi romani”.

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