(A. Austini) Un addio? E chi può dirlo. Sabatini e tutti quelli che l’hanno visto dare la vita per la Roma in questi cinque anni non ce la fanno ad accettare che sia davvero finita così. Senza uno scudetto, senza rivincite, senza silenziare i “latrati degli individui che dovrebbero associarsi in una Cialtroni & Co.” Prima di entrare in sala stampa e lasciare il suo testimone romanista Walter fuma (ovviamente) e scherza. Ma fino ad un certo punto: “A gennaio torno? Anche prima”.
RIMPIANTI – E’ emozionato, commosso, carico di pensieri e rivendicazioni da buttare fuori. Parla per oltre un’ora, spezzata da un’altra sigaretta, e se fosse dipeso da lui sarebbe andato avanti chissà quanto. “In cinque anni – inizia a raccontare – ho annullato totalmente la mia persona fisica e giuridica, non ho fatto niente se non il direttore sportivo della Roma. Non ho mangiato, scritto, urlato, litigato, non ho guardato una donna senza sapere di essere il ds che è stata per me una cosa esclusiva. Questa esperienza è stata a vita, non una frazione. Quello che è successo prima è totalmente opacizzato, vedo solo la Roma e sento di aver vissuto per lei. Abbiamo costruito una struttura che funziona, ma è mancata la convocazione al Circo Massimo dei tifosi. Non era tanto un sogno, quanto una speranza che si è accesa saltuariamente. Ho pensato che prima o poi le mie squadre avrebbero potuto competere per un risultato eclatante, la vittoria dello scudetto. E’ un grande rammarico, una frustrazione che mi accompagnerà per tutta la vita. Una tristezza cupa, probabilmente irreversibile, a meno che non ci sia uno scatto immediato in questa stagione. Quando sono arrivato – ricorda – ero qui per fare una rivoluzione culturale, in questo risiede il mio vero fallimento. Sul mercato ho portato la Roma a sedersi su tutti i tavoli del calcio che conta, l’ho resa un’insidia per tutti, ho fatto un mercato “rissaiolo”. Ma a Trigoria non devono pensare alla vittoria come una possibilità, l’idea di vincere deve diventare una necessità. Ho ancora qualche speranza che succeda, visto l’allenatore che c’è ed auspico che rimanga cinque anni. Mi sento molto deluso, qui si perde e si vince nella stessa maniera, questa è la nostra vera debolezza”. Una missione che lascia a chi lo succede. Si potrebbe iniziare spiegandolo a Szczesny, l’ultimo esempio di mentalità perdente di una lunga serie, che senza indugi dalla nazionale ha detto: “Ho saltato solo una partita (con l’Astra Giurgiu, ndr) vinta in partenza”.
AMERICANI – Sabatini se ne va perché non riesce più a lavorare con Pallotta: “Posso fare solamente il mio calcio, il presidente e i suoi collaboratori puntano sulla statistica, stanno cercando un algoritmo vincente. Io vivo d’istinto, per me i numeri aiutano ma tradiscono: un terzino magari ja fatto 12 cross a partita grazie ad un simil Totti che gli fa arrivare la palla giusta oppure perché ha un energumeno vicino. Io credo a quello che vedo e sento, gli americani sono inclini ai meeting, io alla ma sofferenza notturna, mi sparo cinque sigarette e cerco di capire se un giocatore è bravo. Poi qualche volta confondo e prendo il “povero” Piris. Non vengo sostituito da una macchina, ma da una cultura e ritengo di non essere all’altezza di questo compito. Voglio fare il mio calcio e qui adesso potrei riuscirci un po’ di meno. C’è stato un episodio scatenante: non ho preso un giocatore (non lo nomina ed è Boye del Torino, ndr) che sta facendo molto bene in Italia, perché mi è mancata l’arroganza e la sicurezza di potere chiudere quell’operazione. Sentendo alle mie spalle una serie di osservazioni giuste e corrette ho perso l’attimo fuggente. Odio non averlo comprato, mi fa star male, mi sento sportivamente morire e ho deciso che non meritavo più la Roma”.
TOTTI – Sul capitano ci torna con la massima sincerità. “Non gli hanno dato il Pallone d’Oro e meriterebbe un Nobel per la fisica. Le sue giocate sono irripetibili. Ma per la Roma è un tappo: la sua luce è accecante e copre tutto il resto”.
CESSIONI – In tanti gli hanno imputato le molte cessioni eccellenti di questi anni. Più di qualcuna lui l’avrebbe evitata. “E’ una strategia che mi è stata affidata, però se vendo Benatia e compro Manolas non ho prodotto un danno, semmai un utile e lancio un altro giocatore. Nel saldo dare-avere ho cercato di non indebolire la squadra. Ma dar via Lamela mi ha ucciso, perché è stata la mia provocazione. Purtroppo un calciatore dopo due tre anni viene venduto, succede ovunque. Il problema salariale è insormontabile. Nainggolan? Ha chiesto un adeguamento, la società sta valutando se farlo o meno, ci sarà un premio in base alle sue prestazioni, stiamo negoziando. I calciatori si devono rendere conto che abbiamo iniziato la stagione perdendo la qualificazione in Champions”.
SUCCESSORE – Al suo posto la Roma ha nominato Massara, il vice inseparabile di Sabatini. Ma le parole di Walter fanno pensare a una scelta “ad interim”. “Nell’immediato ci sarà Ricky, poi non so cosa succederà. E’ un professionista, laureato, competente. Non vedetelo come uno legato a me, d’ora in poi eserciterà il suo ruolo solo se chi interloquisce con lui accetterà questa idea. Il ruolo di Franco Baldini è meglio che ve lo spieghi lui o Pallotta. Franco si è confrontato con me prima di accettare questo nuovo incarico, mi ha chiesto se avessi provato fastidio, gli ho detto di no perché avevo già assunto le mie decisioni”.
GIORNALISTI – Inevitabile lo sfogo liberatorio contro la stampa. Anzi, contro alcuni “individui” che la compongono. “C’è la tendenza a far diventare Baldini un massone dannoso, Baldissoni un avvocato arrogante imbucato, anche lui massone. Ora preparate un dossier su Gandini perché dovrete distruggerlo. Quante battute e allusioni avete fatto sulle commissioni? Questi individui venissero in tribunale con me, tirassero fuori i fatti, si associno in una Cialtroni & Co. I vostri soldi me li giocherò fino all’ultima fiches al casinò”. Lo farebbe davvero. Ma prima c’è un’altra squadra da costruire, Bologna e Palermo che sia. “Non ho nessuna offerta, non ho ricevuto telefonate, sono da oggi un disoccupato. Ma ho bisogno di lavorare io sono un direttore sportivo, la vita è un corollario”. Conta solo il pallone, “il mio universo intero”.