(M. Pinci) Il Milan le aveva regalato un biglietto, sul treno però doveva salirci da sola. La novità è che la Roma lo ha fatto senza farsi pregare, segnando quattro gol al piccolo Palermo di oggi, prendendosi un posto in prima classe sul vagone per lo scudetto, lontana appena due posti, anzi due punti, dalla locomotiva Juventus.
E l’Olimpico che assiste è quasi stupito, come se nelle orecchie risuonasse ancora il testamento dell’ex ds Sabatini: «A Roma si perde e si vince nella stessa maniera», una parafrasi per dire che il successo «non è vissuto come necessità, ma come eventualità ». Nella sua storia le è successo centinaia di volte di presentarsi in ritardo, di vedere quel treno che le sfrecciava via sotto il naso: Roma-Liverpool, Roma-Lecce, Roma-Samp. Scudetti e coppe persi proprio in casa. Per dire se questa squadra possa vincere davvero è troppo presto, lo sa pure il dg Baldissoni, la ferita del pari con l’Austria Vienna è freschissima e gli fa dire che «prima di pensare di essere l’anti-Juve, dobbiamo essere l’anti-Roma, perché possiamo battere chiunque ma abbiamo cali di tensione preoccupanti ». La prova che nessuno si fida di questa squadra, nemmeno chi l’ha costruita pezzo per pezzo negli ultimi cinque anni. Perché ne conosce i vizi.
Eppure in campo succede che la Roma faccia la Roma e si prenda il ruolo che più o meno tutti volevano cucirle addosso a inizio stagione. E che lo faccia senza il timore di non farcela, o senza la spocchia di chi pensa che il gol debba arrivare per diritto acquisito. Di alibi ne avrebbe, per lasciar passare anche questo treno: cinque difensori costretti a fare gli spettatori, compreso Florenzi a pochi minuti dal via. Spalletti s’inventa allora una difesa a tre e mezzo, con un mancino a destra (Emerson). Salah in stile Muhammad Ali vola come una farfalla e punge come un’ape. Paredes non è più il ragazzo spaurito di giovedì in Europa League e un Posavec disastroso gli regala pure il gol. El Shaarawy fa dimenticare che manca un certo Perotti. E poi c’è Dzeko. Succede, ormai da un po’, che faccia con puntualità disarmante quello per cui era arrivato: i gol. Dopo 9 partite sono già 8, tanti quanti ne aveva messi a segno nell’intero campionato scorso. Una media che, proiettata sull’intero campionato, lo porterebbe a sfiorare il record di Higuain. Chi l’avrebbe detto un mese fa, quando l’Olimpico lo fischiava. Stavolta, gli unici fischi li prendono il polemico Diamanti (consolato da Spalletti, con un audace abbraccio nonostante i cori dello stadio) e il quarto uomo. Colpa, si fa per dire, di Totti. Strano vederlo restare cinque lunghissimi minuti a bordo campo ad aspettare che arrivi il via libera per entrare. Il pallone esce una, due volte, il tempo passa, ma nessuno gli dice «vai, Francesco ». Quando lo fa, tutti si accorgono che forse finalmente Francesco non è più l’unico indispensabile, ma utile. Come tutti.
Chi non si sa godere il momento penserà che senza i due punti buttati a Cagliari, oggi la Roma sarebbe con la Juve. Ma c’è altro: 23 gol, più di tutti, quasi 3 a partita. E pazienza se pure a Quasion è stata concessa la gioia del gol all’Olimpico. «Ho visto il carnevale di Roma, ho visto quel treno e ci sono salito», cantavano i Pogues in The sunny side of the street, il lato assolato della strada. Le nuvole non se ne saranno andate tutte, ma da ieri la Roma il lato assolato della propria strada sembra averlo trovato.