(M.Pinci) – La cima è l’obiettivo comune, le strade che hanno scelto per raggiungerla non potrebbero essere più diverse. Fino a oggi si sono dovute accontentare di arrivare dietro alla Juventus dei record, ma a Napoli e Roma l’applauso del pubblico (nemmeno convinto) non basta più. La parola più inflazionata tra le aziende di successo è “Glocal”, globale e locale insieme. Aurelio De Laurentiis e James Pallotta rappresentano le due facce opposte di quella medaglia: l’americano s’affaccia al mondo, il napoletano mette radici profonde sul territorio.
Alcuni studi sostengono ci siano più napoletani a Baires o Rio che a Napoli: al club azzurro non interessa. E a brand come Nike o Adidas ha preferito il made in Italy. Macron prima, poi Kappa: marchi italiani con cui è più facile “personalizzare” i prodotti rendendoli unici, adatti ai suoi tifosi. In passato la terza maglia è stata concordata con il figlio del presidente perché piacesse ai napoletani. Sacrificando la vetrina internazionale che offrivano i colossi. La Roma ha fatto il percorso inverso: ha rotto con Kappa accettando un’azione legale, per legarsi a Nike. Un contratto che offre la diffusione del marchio Roma sui mercati di Usa e Cina. Ora pure a New York capita d’incontrare tifosi con la maglia giallorossa. Il prezzo: una terza divisa che pare la lattina della Fanta. I numeri sembrano bocciare la scelta giallorossa: soltanto quest’anno infatti il fornitore americano ha pareggiato, grazie ai contributi dalla vendita delle magliette, gli incassi garantiti con la casa torinese: 7 milioni. E Nike resta l’unico sponsor della Roma. Ma per Trigoria è una questione di valorizzazione: la squadra è senza sponsor sulla maglia dal 2013 e il club chiede 12 milioni per “vendere“ quello spazio. Magari a breve chiuderà un accordo per 8-9 milioni: mai meno, per non dire al mondo “la mia maglia vale poco”. A Napoli fanno considerazioni opposte: tanti sponsor, anche piccoli. Lete, Garofalo e Kimbo (De Laurentiis ha ottenuto lo spazio per il terzo logo dietro la schiena), aziende locali che però insieme al fornitore tecnico fanno impennare gli incassi: 20 milioni. La Roma si è interrogata sulla possibilità di seguire la stessa strada. Ma non fa per Pallotta: meglio un global brand che tre sponsor a imbrattare la maglia.
Specchio delle differenze è l’organigramma. A Napoli, quattro quinti del Cda hanno lo stesso cognome: Aurelio De Laurentiis, la moglie Jacqueline, i figli Edoardo e Valentina. A Roma hanno cambiato 10 dirigenti in cinque anni (2 presidenti, 4 ad, 2 dg e 2 ds) e nel consiglio 9 nomi su 12 sono quelli di milionari americani, Galantic o Gold, Beer o Klein, Neely o Sternlicht. Curioso che strutture così solide abbiano perso un treno unico: Maradona e Totti, simboli dei due club, insieme all’Olimpico per la partita della pace. Ma le società non c’erano a cogliere l’occasione, per distendere gli animi di una partita che bisogna giocare alle 15 di sabato, quasi a sperare che nessuno vada a vederla. Gruppi di tifosi si organizzano per distendere animi tesissimi dopo il caso Ciro Esposito. Mentre i club poco ”glocal” stanno a guardare.