(T. Riccardi) – “Se è un’intervista per il match program della Roma, va bene tutto. Chiedimi quello che vuoi. Per me la magica è la magica, sono tifoso da sempre…”. Marco Nappi è stato un calciatore di Serie A. Attaccante veloce e brevilineo, ha girato mezza Italia tra Cesena, Ravenna, Pesaro, Arezzo, Genova, Brescia, Udine, Ferrara, Firenze, Terni, Como, Savona, Carrara, Cuneo e Bergamo. Una carriera lunga, uno “zingaro” del calcio, ma non è mai riuscito a coronare il sogno di tornare a casa sua per giocare nella Roma. “Pazienza, tutto quello che mi sono conquistato, me lo sono preso sul campo. Da solo”. Bergamo ha significato Atalanta nella stagione 2000-2001, quella del terzo scudetto romanista. Lui faceva parte della squadra nerazzurra allenata da Vavassori e formata da tanti giocatori emergenti come Doni, Donati, i gemelli Zenoni, Rossini, Pinardi, Bellini, Pelizzoli. “Io, con Carrera e Ganz eravamo i veterani del gruppo e cercavamo di dare il nostro contributo d’esperienza”, ricorda Nappi, oggi allenatore della Beretti del Livorno.
L’Atalanta del 2000-2001 ricorda quella di oggi di Gasperini?
“Sì, il paragone ci sta perché la squadra di Gasperini è un mix tra giovani e meno giovani. L’unica differenza è che questa è arrivata alla dodicesima giornata, la mia si classificò sesta a fine campionato e l’anno prima vinse il campionato in Serie B.
Spero che mantengano questo ritmo fino alla fine”.
E la Roma di Spalletti?
“È una squadra forte, con giocatori di qualità. Potrei fare l’elenco di tutti, ma ne voglio citare solo tre. C’è De Rossi che è il mio preferito. Mi rivedo tantissimo in lui. Daniele in campo corre, si incazza, va sempre in aiuto del compagno. È innamorato della Roma, attaccato alla causa e si vede. Mi piacerebbe un giorno avere una sua maglia con dedica nonostante pure io abbia giocato ad alti livelli. Totti è Totti, idolo trasversale, un calciatore straordinario. Se possibile, lo metterei tutte le partite gestendo al meglio i suoi recuperi. Ho giocato anche io fino a tarda età, capisco quali possono essere le difficoltà arrivati a un certo punto della carriera”.
Ne ha MENZIONATI due, manca il terzo.
“Il terzo è Džeko. Edin Džeko. Lo scorso anno discutevo continuamente con i miei amici durante le partite per far capire che questo è un centravanti di livello internazionale. Fortissimo. Se mi chiedi di prendere lui o Higuain io prendo lui senza nemmeno pensarci. Higuain vive per il gol, Džeko è un attaccante moderno che sa creare le occasioni. È il migliore in Italia in questo momento”.
Sembra di capire che il tifo giallorosso non se l’è dimenticato.
“Mai e poi mai. Ho giocato tanti anni in Serie A e in Serie B, mi è capitato pure di fare dei gol alla Roma con la maglia del Genoa, ma era il mio lavoro e l’ho sempre fatto fino in fondo, con il massimo dell’impegno. Non mi sono risparmiato per nessuno. Però il tifo è rimasto quello di sempre. Se devo vedere una partita in televisione, guardo la Roma e basta”.
Sempre nel 2001 stava per fare uno scherzetto alla sua squadra del cuore nell’anno dello scudetto giallorosso, in Roma-Atalanta all’Olimpico.
“E che non me lo ricordo? Tirai a botta sicura e Antonioli respinse il mio tiro con un riflesso da portierevero. Dopo la partita mia madre mi disse: “Ci stavi per far perdere lo scudetto con un tuo gol…”. In famiglia siamo tifosi da tante generazioni”.
Ha un ricordo da romanista?
“Da giovane andavo a vedere le partite in Sud con mia cugina Gianna. Ci mettevamo in mezzo al settore, dove c’era il nucleo storico del tifo. Ero in curva il giorno della morte di Paparelli. Ho anche giocato nelle giovanili della Lazio, ma come detto sono giallorosso nel cuore”.
Rimpiange di non aver giocato nella Roma?
“Beh, mi sarebbe piaciuto sicuramente, però non rinnego nulla di quanto fatto. Nel 1990, dopo un Roma-Fiorentina, il presidente Viola mi fece una battuta…”.
Racconti pure.
“Venne negli spogliatoi e mi domandò: “Nappi, ma lei di che zona è di Roma?”. “Io sono della Pineta Sacchetti, Roma nord”. “Peccato, i migliori ce li facciamo sempre sfuggire”. Un complimento che mi fece molto piacere e ancora oggi porto con me. L’episodio capitò pochi mesi prima della scomparsa del presidente. Da brividi”.
Come ci è finito a Livorno, ad allenare la squadra Beretti? Lì non ci ha nemmeno MAI giocato.
“Diciamo che è stato un percorso lungo e faticoso…”.
Perché faticoso?
“Beh, la storia è lunga e inizia una decina di anni fa. Nel 2006 a Coverciano divento tecnico di seconda categoria. Un’abilitazione che mi permette di allenare in Lega Pro, in Serie D e di fare da secondo in A. All’inizio ho fatto qualche esperienza interessante, tipo a Savona, ma poi sono subentrati altri fattori. Per prendere una squadra di Serie D mi chiedevano di portare uno sponsor per pagarmi lo stipendio. Capisce che dopo circa 600 partite tra i professionisti, una situazione del genere non la potevo accettare? Per me questo è un lavoro e anche se vengo pagato un euro, quell’euro me lo deve dare la società. Così, mi sono fermato aspettando di trovare una buona opportunità”.
Opportunità arrivata con il Livorno di Spinelli.
“Esatto. Ero rimasto in buoni rapporti con il presidente, che io avevo avuto da giocatore a Genova. Parlandoci un giorno mi aveva prospettato questa possibilità e io l’ho colta al volo”.
Nappi che allenatore è?
“Uno che pretende il massimo dai suoi ragazzi. Con me gioca chi in campo dà il massimo, chi pedala e fa sacrifici. Cerco di trasferire il mio credo da calciatore. Solo così si può arrivare in alto e ottenere risultati”.
A proposito di giovani, questa Serie A sta premiando la scelta delle società di puntare su alcune nuove leve.
“Finalmente, direi. La Roma è avanti in questo discorso perché continua a formare giocatori che poi arrivano in Serie A o in Serie B. Basta vedere le rose del Sassuolo o del Pescara. Pallotta sta investendo bene in quel settore e si vede. I dirigenti delle altre squadre dovrebbero puntare più su questi ragazzi invece di andare in giro all’estero a cercare calciatori. I casi di Locatelli, Donnarumma, Pellegrini fanno capire che pure in Italia ci sono talenti importanti su cui puntare. Le faccio un altro esempio…”.
Prego.
“Ho visto in tv la finale di Supercoppa Italiana Primavera, sembrava di vedere una partita vera. Come se fosse un Roma-Inter di campionato. Significa che il movimento giovanile sta crescendo”.
Lo sa, in questa intervista ha dato un sacco di titoli e di spunti. Non è una cosa comune sentendo i protagonisti del mondo del calcio.
“Io sono così, dico sempre quello che penso senza fare giri di parole. A sentire certe interviste in televisione mi annoio, sembrano tutte uguali, preconfezionate. Forse in passato ho pagato questa mia sincerità, ma non me ne frega nulla. Sono arrivato a 50 anni così e non cambierò di certo”.