(A.Angeloni) – Non bisogna scomodare Roma-Lecce, 20 aprile 1986, e nemmeno Roma-Sampdoria 25 aprile 2010, oppure tra le due ère i vari Venezia-Roma(2002), Lecce-Roma e Ancona-Roma (2004). Non li scodiamo certi nefasti ricordi, anche perché dopo quelle partite, a Roma si è smesso di parlare di scudetto, è evaporato un sogno. Dopo Empoli-Roma, 30 ottobre 2016, non è finito un bel nulla, sognare si può ancora. Si deve. Ma certi dubbi restano e tornano a galla: da queste parti, ogni qual volta ci si trovi sulla punta di un trampolino, scatta la paura di tuffarsi. Quella che molto banalmente si chiama la paura di volare. Sarà, forse, una questione di dna o magari del solito ambiente romano, chiamato in causa sempre come tappa/falle per liberare altri da più evidenti responsabilità. A volte la sfortuna fa il suo corso, altre serve qualcosa in più. Luciano Spalletti ha parlato di cattiveria, di una Roma che non è stata allupata. Stesse parole che spesso ha usato e usa per Edin Dzeko, che ha fatto sue rispondendo con prestazioni e gol. Il discorso di squadra è un po’ più complicato da inculcare alla squadra. Il coraggio, se non ce l’hai, non puoi dartelo da solo. Come il carattere. La Roma, tutta, deve abituarsi a tirare fuori la ferocia proprio in partite che apparentemente pensi di vincere senza fatica. Il corteggiamento, insomma, per dirla alla Spalletti, non serve, ti fa perdere tempo e quando ti svegli, è tardi. E’ chiaro che la Roma che pareggia a Cagliari o che esce brutalmente sconfitta da Torino è molto diversa da quella che ha fatto 0-0 a Empoli. Ma le amnesie sono più o meno le stesse: si sono spostate dalla difesa (che ha preso sempre gol) all’attacco (il migliore del campionato ma che stavolta è rimasto a secco). La Roma è una bellezza imprevedibile, umorale. Contro l’Empoli ci sono state due occasioni ad inzio partita, tre nel finale, ma in mezzo non si è fatto quel che si doveva. E’ la troppa consapevolezza nei propri mezzi a fare la differenza in negativo. Succedeva anche alla stessa Roma di Spalletti atto I, che – dal 2006 al 2008 – perdeva per strada punti letali contro squadre non certo spaventose come Empoli, Livorno, Palermo.
LUCIO E IL BELLO – Al di là dei corsi e ricorsi storici, la Roma di Spalletti, prima e ora, ha sempre cercato il bel calcio e, come dicevamo, questo porta a specchiarti molto nelle giocate, a cercare di vincere stupendo. Quando il calcio spesso diventa un gioco per brutti, sporchi e cattivi. E di solito, certe squadre sono molto belle, ma poco concrete, fa eccezione il Barcellona, che unisce il piacere (Messi) al dovere (Suarez). La cattiveria ce la devono avere i giocatori, Spalletti deve aiutare quelli un po’ più mosci. Non siamo ancora al tacco, la punta, il numero, ma è evidente che giocatori come Salah, Perotti, El Shaarawy, Paredes, Dzeko non hanno come caratteristica principale il carattere e quella ferocia a cui spesso fa riferimento il tecnico. Sono molto bravi tecnicamente, a volte sublimi e i gol spesso sono esplosioni di colori. E sono loro che devono risolvere le partite e fino a questo momento lo hanno anche fatto.
DIABOLICO PERSEVERARE – La Roma, il carattere, riesce a tirarlo fuori nelle grandi serate, poi davanti alla squadra più piccola pensa di aver vinto senza fatica. Si distrae. E si deve ricominciare tutto da capo. Dopo domani a Vienna e domenica in casa con il Bologna c’è subito la possibilità di tornare in pista. Giovedì la Roma è già costretta a vincere sempre per colpa delle amnesia della gara di andata, nella quale l’Austria Vienna ha rimontato due gol in due minuti. Vincere in Europa League per guadagnare il primo posto nel girone e battere il Bologna per recuperare i punti lasciati a Empoli. Perché, come ha ricordato Spalletti, una volta può capitare di lasciarsi sfuggire una vittoria, due può crearti un bel problema. Specialmente a una squadra che vuole essere protagonista in questa stagione. Il compito diventa più complicato specie se devono affrontare le avversità non previste: gli infortuni muscolari (tanti, troppi), i traumi (da Ruediger a Mario Rui fino a Florenzi). E torniamo al famoso carattere. Ora ce ne vuole ancor di più.