(M. Pinci) Ci sono vizi a cui è praticamente impossibile non cedere. Alla Roma incasinarsi la vita piace da matti, o almeno fa di tutto perché sembri così. A meno quattro dalla vetta ci arriva battendo il Pescara 3-2, ma soltanto dopo essersi costretta a un finale con le palpitazioni. Perché un vizio è un vizio, anche quando il mondo continua a bisbigliarti all’orecchio che questa è proprio la tua giornata: la Juventus che perde a Genova, un Pescara timorato e pieno di acciacchi che dopo dieci minuti ti ha già apparecchiato la tavola per il banchetto.
Il modo migliore per starsene tranquilli, negli ottanta minuti successivi ad aspettare che si faccia ora di giocare questo derby con vista sulla Juve, visto che tutti a Roma non parlano d’altro da giorni. Troppo facile, così.
A quella Roma costruita per rubar l’occhio, più che le partite, deve sembrare banale liquidare un avversario che nel primo tempo ha cercato addirittura di mettersi a controllare il flusso del gioco. Meglio aprirsi, rischiare, esporsi.
A Bergamo lo stesso giochino aveva prodotto un forziere di occasioni perse per chiudere il match e nemmeno un punto in classifica. Col Pescara che perdeva da cinque partite di fila ha rischiato di far evaporare una vittoria già in tasca. A Oddo è bastato mescolare qualche carta per far tremare le gambe di Emerson Palmieri e Gerson, azzardi concessi da Spalletti al suo gusto di stupire.
Nel copione del thriller dell’Olimpico gli elementi ci sono tutti: l’illusione, lo spavento, pure l’ex amico che ti fa gol (Caprari), facendoti temere il peggio. E, ovviamente, il lieto fine (chissà se sarà tale pure per Oddo, al sesto ko di fila).
Sette partite all’Olimpico, altrettante vittorie. Ma se la Roma continua a sentire almeno il profumo del paradiso lo deve soprattutto a “Eden” Dzeko. Uno che in estate pareva destinato a passare un anno a contare i gol e le magie confezionate dal trio di prestigiatori Perotti, Salah e El Shaarawy. E che invece arriverà a dicembre viaggiando alla stessa velocità che teneva un anno fa Higuain: dodici gol in quattordici partite, diciassette nelle venti partite stagionali. E che ora può anche pontificare: «E’ stata una vittoria un pò più faticosa di quello che sembrava:abbiamo cominciato bene, ma ci siamo rilassati un po’ sul 2 a 0. Abbiamo perso troppe palle, abbiamo smesso di voler segnare: invece bisogna sempre cercare di segnare».
Nemmeno Batistuta nell’anno dello scudetto segnava così tanto, un traino che fa della squadra giallorossa il miglior attacco d’Italia (trentatrè gol, con il rigore di Perotti) e il terzo d’Europa insieme al Barcellona. E ora Lazio e Milan, entrambe qui, prima della Juve. Venti giorni per continuare a illudersi: inferno, o Eden. Anzi, Edin.