(M. Pinci) C’era una possibilità che Roma non parlasse per sette giorni della crisi mistica del “molle” Dzeko, di Manolas che a giugno andrà via, del vice Salah che forse non arriva e dell’ottavo di coppa Italia con la Samp che inaugura un ciclo di 9 partite in 39 giorni, dieci passando il turno. Anche per questo dovrà ringraziare la Fiorentina. Perché la classifica – per quanto virtuale – le sussurra all’orecchio che la Juve è adesso lontana solo un punto. Merito di una Roma che ha definitivamente cambiato faccia. Pareva un vezzo, è diventata una cifra stilistica: vincere senza soffrire. A Udine come a Genova, o come qualche settimana prima con il Milan: 1-0 e pensiamo alla prossima. Da dicembre in poi le hanno segnato solo Higuain, scotennando la porta, e De Guzman, una mezzala che gioca col numero uno: eventi paranormali a parte, insomma, la Roma è diventata invulnerabile o quasi. Quella autunnale che ruba va l’occhio è durata una ventina di minuti al Friuli, il tempo di fare un gol, sbagliarne un paio, sparare un rigore fuori dallo stadio. Poi s’è spogliata dei suoi abitini sexy e ha indossato di nuovo il saio, anche se non le è servito pregare per difendere il vantaggio di Nainggolan. Anzi s’è concessa il lusso, magra com’era la panchina di Spalletti, di restituire il campo a Francesco Totti («La squadra aveva bisogno della sua personalità»), che negli ultimi tre mesi s’era visto per la miseria di 33 minuti. L’occasione per festeggiare con lui il venticinquesimo anno solare con la stessa maglia: gli mancano sei partite per scavalcare Zanetti al secondo posto tra i più presenti nella storia della serie A, sempre che Buffon non lo superi prima.
Il problema di Spalletti è che la coperta è corta: prima segnava una marea di gol e ne prendeva un canestro, ora che ha blindato la difesa s’è inceppato Dzeko. Impegnato in una rappresentazione in 20 atti dello strano caso di Jekyll e Hyde: un gol a partita nelle prime dieci giornate, dall’undicesima in poi ne ha fatti appena tre, come se in campo andasse un signore che gli somiglia. Sbagliandone altrettanti a ogni partita. Nemmeno l’allenatore vuole difenderlo più: «La squadra è tosta, Dzeko invece è molle». Viene in mente Celentano, la Roma è rock e il suo centravanti è lento. Ma Spalletti va pure più duro: «Tende a accontentarsi, se fa due gol si coccola quando potrebbe farne quattro». Ormai non fa più nemmeno quelli. E macina errori: un pallonetto solo col portiere al cielo, dove avrebbe mandato poi il rigore, un paio di zuccate lontanissime dai pali e altre quisquilie. Sbaglia spesso pure Manolas, che Baldissoni ha virtualmente congedato: «Il rinnovo è difficile, vorremmo tenerlo ma conta la volontà del giocatore». Che s’è più o meno promesso all’Inter. Che fatica questo mercato, che doveva portare un’alternativa a Salah e invece s’è portato via Iturbe senza regalare un’alternativa. «Non riusciamo a prendere giocatori di livello e un ragazzino non mi serve, servono calciatori pronti per vincere le partite sennò poi sei sesto e sesto non va bene», avvisa Spalletti. Che tra un problema e l’altro, ha iniziato a godersi il nuovo volto della sua nuova squadra. Mentre Dzeko balla un lento, la sua Roma suona il rock.