(F. M. Magliaro) Per il progetto dello Stadio della Roma di Tor di Valle non c’è proprio pace. Ieri è stato il turno del sindaco, Virginia Raggi, uscirsene, a margine di una conferenza stampa, con una frase, «Lo stadio deve essere fatto nei limiti di legge del Piano Regolatore» che ha fatto nuovamente divampare la polemica politica. Il Sindaco ha aggiunto: «Come sapete ora è aperta la conferenza di servizi, quindi è lì che si parla e si decide». Due affermazioni in palese contraddizione fra loro e che denotano, qualora fossero necessarie ulteriori prove, lo stato di profonda confusione e in decisione in cui la Giunta Raggi è piombata su propria iniziativa e da cui il Sindaco prova a uscire con un po’ di piroette dialettiche buone per la base intransigente. Ovviamente, questa affermazione della Raggi ha immediatamente attivato il fuoco dell’artiglieria pesante da una parte e dall’altra. Il primo – altro attore nella Conferenza di Servizi che continua a riunirsi senza decidere alcunché e che fra 15 giorni chiuderà i battenti – a rispondere è il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: «Siamo in una fase in cui bisogna produrre degli atti amministrativi, altrimenti sono chiacchiere vuote che fanno solo perdere tempo» e, poi, rincarando la dose: «Mi auguro che si possa arrivare a un punto di chiarezza che però non può essere fatto con dichiarazioni e conferenze stampa, o peggio nelle interviste».
Per l’ennesima volta, quindi, si riaccende lo scontro fra Comune e Regione con lo Stadio che diviene, nei fatti, l’arena politica della lotta fra Pd e M5S. Dietro a Zingaretti scende in campo mezzo Pd: Stefano Pedica azzarda una metafora calcistica, «Raggi rischia il fuorigioco»; Fabio Bellini «Svegliare Raggi dal suo torpore»; Marco Miccoli «Dichiarazioni di oggi sono surreali e al limite della irresponsabilità»; Marco Palumbo «Da Raggi affermazioni prive di logica». A favore della Raggi, Stefano Fassina (Sinistra per Roma) e la difesa d’ufficio del capogruppo grillino in Aula Giulio Cesare, Paolo Ferrara: «Non c’è nessuna impasse. Il Movimento sta riflettendo per trovare una soluzione in linea con quello che abbiamo sempre detto. Gli atti ci sono tutti». In realtà le vere domande politiche investono direttamente le decisioni prese dal Campidoglio: perché, quando a luglio, gli uffici capitolini sottoposero a Berdini una relazione che gli avrebbe consentito di rispedire al mittente il progetto per carenza documentale e violazione del «punto due del dispositivo» della Delibera di pubblico interesse di Marino, questo non avvenne? E, ancora, perché presentare una Memoria di Giunta, il 16 settembre, a firma dello stesso assessore Berdini con la quale si stabiliva un cronoprogramma stretto e preciso per «avviare le attività finalizzate all’approvazione del progetto» e che includeva i passaggi per l’approvazione della variante urbanistica per poi violarla apertamente come sta avvenendo ora? E, perché i rappresentanti di Roma Capitale, in tutte le riunioni della Conferenza di Servizi, hanno ribadito la volontà del Campidoglio di adottare tutti gli atti nei tempi previsti proprio dalla Memoria Berdini? Insomma, la corda, il Campidoglio, se l’è annodata al collo da solo.