(A. Sacconi) Via le torri, cubature dimezzate da 1 milione a 480-490 mila metri cubi (il 60% in meno per il Business Park) e modifica del pacchetto di opere pubbliche per la viabilità del quadrante sud-est della capitale. Nei giorni successivi all’accordo sulla realizzazione dello stadio nell’area di Tor di Valle, attacchi e polemiche piovono sull’amministrazione capitolina. Sotto accusa in particolare la distinzione tra opere pubbliche prioritarie, tra cui il potenziamento della Roma-Lido, gli interventi sulla via del Mare, la messa in sicurezza idrogeologica del fosso di Vallerano nell’area di Decima, e quelle da rimandare anche a dopo l’apertura dello stadio, cioè il ponte sul Tevere e la bretella sulla Roma-Fiumicino. Infine niente prolungamento della metro B. Insomma il rischio è quello di creare un effetto imbuto per residenti e tifosi. In un quadrante in cui, come aveva dichiarato in tempi non sospetti il presidente di Agenzia per la Mobilità, Carlo Maria Medaglia, il sistema mobilità era «destinato a collassare entro il 2018».
E sulla questione insiste anche la Regione: «Non si conoscono ad oggi le opere e le infrastrutture che l’accordo reputa indispensabili per garantire la mobilità, il miglioramento dell’ambiente e della qualità urbana – spiega l’assessore Michele Civita – Eserciteremo il ruolo e la funzione di competenza». Molte le polemiche di ambientalisti e urbanisti. «Si conferma l’errore dell’area scelta che rimarrà irraggiungibile con i mezzi pubblici», attacca Legambiente. «L’accordo potrebbe rivelarsi una vera trappola per oltre 400mila romani», fa eco Raimondo Grassi, architetto urbanista e presidente di Roma Sceglie Roma. «La Raggi ha cancellato tutte le opere di interesse pubblico da noi ottenute – ha attaccato l’ex sindaco Ignazio Marino – Ha fatto un favore ai privati».