(M. Evangelisti) Il Ministero dei Beni culturali ha inviato il parere che è già sul tavolo del Gabinetto del Sindaco e alla Conferenza dei servizi: stadio e grattacieli a Tor di Valle non si possono fare. Al di là dei litigi e dei ripensamenti della maggioranza a 5 Stelle, questo atto potrebbe scrivere la parola fine. Anche perché questo verdetto della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per il Comune in Roma raccoglie le considerazioni di archeologi, architetti e paesaggisti. Come mai c’è questa bocciatura che influenza pesantemente il giudizio della Conferenza dei servizi? L’ippodromo ha una significativa valenza architettonica che va tutelata e salvaguardata. Nulla può essere costruito vicino che ne ostacoli la visuale. Nulla che sia più alto delle tribune dell’impianto dove un tempo gli appassionati di trotto seguivano le corse. Rischia di essere la sentenza finale che affonda il progetto dello stadio, con annessi grattacieli, perché è stata redatta dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Comune di Roma ed è finita tra gli atti della Conferenza dei servizi regionali che deve pronunciarsi sul progetto. In questo vincolo c’è un paradosso: l’Ippodromo di Tor di Valle fu costruito nel 1959 per le Olimpiadi di Roma. Come dire: l’architettura di pregio che conquistò la Capitale grazie ai cinque cerchi potrebbe fermare proprio l’opera su cui una parte del Movimento 5 Stelle, quello che fermò le Olimpiadi, vorrebbe trovare una intesa.
C’è un atto, firmato dalla soprintendente Margherita Eichberg, che conferma il procedimento di dichiarazione di interesse culturale «dell’immobile denominato Ippodromo di Tor di Valle». Da quell’atto poi prende forma il parere, inviato alla Conferenza dei servizi, più complessivo e corposo (una ventina di pagina), che ribadisce il no. Perché l’Ippodromo va salvaguardato? Si legge nel documento della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio: «L’Ippodromo di Tor di Valle, struttura all’avanguardia per l’epoca in cui fu realizzata, fu inaugurato nel 1959, in previsione delle Olimpiadi dell’anno successivo per le gare del trotto». La Soprintendenza sottolinea il valore di una opera che fu «progettata dall’architetto di fama internazionale Julio Garcia Lafuente, con gli ingegneri Rebecchini, Benedetti e Birago». «Rappresenta un esempio rilevante di architettura contemporanea ma anche di soluzione tecnico-ingegneristica e di applicazione tecnica industriale in fase di realizzazione, per l’arditezza costruttiva e per l’innovazione tipologica». E’ vero che nel corso degli anni l’ippodromo, e in particolare la sua tribuna considerata all’avanguardia per l’epoca, ha subito dei rimaneggiamenti, ma «non ne hanno pregiudicato la sostanza architettonica iniziale e la percezione del suo valore». Dunque, al di là del fatto che le Mandrakate a Tor di Valle non si vedono più, visto che il trotto ormai è un ricordo del passato, secondo la Soprintendenza «la struttura è tutt’ora fruibile, anche per le visuali che da essa si godono, non solo della pista, ma anche del contesto urbano circostante, la tribuna costituisce un unicum dal punto di vista dimensionale».
Alla luce di queste considerazione che hanno originato la procedura di vincolo, ecco le prescrizioni: deve essere lasciata da opere più elevate l’area circostante (quindi no ai grattacieli); in caso di sostituzione degli edifici già esistente «non dovranno essere superati l’altezza e la densità attuali». In sintesi: per il progetto, che prevedeva tre grattacieli progettati dall’archistar Libeskind, le indicazioni del Mibact appaiono una mannaia difficilmente evitabile.