(G. Caudo) – L’approvazione del progetto riguardante il nuovo stadio della Roma e il connesso centro direzionale a Tor di Valle è stata trasformata in un gioco sulla pelle della città. Chiamare in causa i tifosi romanisti fa comodo a una parte. Le grida contro i palazzinari fanno comodo ad altri. Purtroppo nessuno fa quello che sarebbe necessario: valutare se il progetto risponde alle prescrizioni dei soggetti pubblici che hanno espresso il parere preliminare e, soprattutto, se soddisfa le condizioni indicate dal comune. La delibera approvata dalla Giunta Marino nel 2014 non lascia spazio a interpretazioni: l’interesse pubblico non è dichiarato a-priori, ma è subordinato alla realizzazione, da parte del privato, di una serie di opere pubbliche a servizio dello stadio e della città, per un valore di 400 milioni di euro. Se si ritenevano insufficienti i benefici pubblici, o sbagliato l’intervento a Tor di Valle, si doveva tornare in Assemblea Capitolina (dove i 5 stelle hanno una maggioranza schiacciante), per riscrivere le condizioni del pubblico interesse o rigettare, motivatamente, la proposta. Da confusionari irresponsabili ci si è invece incamminati su una strada fatta solo di dichiarazioni stampa, appelli e amenità seguite da imbarazzanti smentite. Si sono lasciati passare inutilmente i 180 giorni della conferenza di servizi che doveva esaminare il progetto sotto il profilo tecnico e non si è nemmeno iniziato a scrivere la convenzione urbanistica, l’atto che sancisce gli impegni del privato verso il pubblico.
E’ un sentiero pericoloso quello dell’urbanistica un tanto al chilo: togliamo il 20%, torniamo al PRG (che però non prevede lo stadio), lo stadio non serve e quindi facciamo solo quello, cancelliamo un ponte, un tratto della metro, mezzo grattacielo. Davvero si crede di presidiare l’interesse pubblico in questo modo? Roma è una città in tensione, dove è in atto uno scontro di interessi, molti dei quali — solo apparentemente contrapposti tra loro — si coalizzano per fermare tutto. L’unico modo per sottrarsi a questo gioco di specchi è agire in modo chiaro e trasparente, soprattutto nei rapporti tra pubblico e privato che hanno per oggetto trasformazioni urbanistiche e infrastrutturali. Vale in questi casi un precetto evangelico: «che il vostro parlare sia sì sì, no no; il resto viene dal maligno».
Fonte: Milano Finanza