(Il Giornale – G. Timossi) – Si sono visti funzionari sbattere la porta e altri finire in ospedale. Tutto mentre l’architetto Alessandro Sasso, guru dell’urbanistica scelto da Beppe Grillo, scendeva a Roma e riscriveva il progetto stadio. Tagliando in una settimana quello che l’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini non era riuscito a tagliare in sei mesi. Alla fine del venerdì più lungo dell’era Raggi, quello che fa passare la macchina della comunicazione pentastellata è il proclama della sindaca: «Lo stadio si fa e ci giocherà per trent’anni la Roma. Niente torri, cubatura ridotta del 50%, investimenti complessivi inalterati, sempre 1,7 miliardi perché ci sarà meno cemento, ma più vetro e legno, il che significa edilizia residenziale di alta qualità, con parametri che in Italia non si sono mai visti e che in Europa esistono solo per lo “Shard”, il grattacielo simbolo di Londra». Solo che adesso c’è pure la Lazio, con Lotito che reclama uno stadio biancazzurro. Perché a loro sì – dice – e a noi no? «Cara sindaca Raggi, prendiamo atto che la sua amministrazione ha superato i vincoli ed ha raggiunto un accordo con la Roma. Ci aspettiamo la par conditio per gli innumerevoli tifosi biancocelesti».
Quello che però non enfatizzano le voci del Movimento è un altro pezzo di verità: «Gli investimenti restano inalterati, perché questa sì, è una speculazione, ma non edilizia. E invece un’operazione finanziaria, guidata dal Raptor Group, fondo americano altamente speculativo. Il debito verrà messo sul mercato, saranno bond e sulla collocazione dei bond si pagano le commissioni. Oggi l’economia funziona così: le case non si vendono, ma i debiti sì». Certo, non è un grande esempio di coerenza per un Movimento che ha sempre detto di ispirarsi al micro-credito, agli insegnamenti di Muhammad Yunus e alla sua Grameen Bank in Bangladesh. Difficile spiegare come si può fare una battaglia sul reddito di cittadinanza e poi aprire le porte di Roma alle bolle di una speculazione finanziaria da 1,7 miliardi. C’è anche questo nel venerdì del grande shopping, quello che arriva dopo il Giorno del Ringraziamento, il Black Friday di Roma Capitale. E due giorni fa la riunione decisiva non si è svolta in Campidoglio, ma in una stanza dell’ospedale San Filippo Neri, dove per 9 ore è rimasta ricoverata la sindaca. Da lei è arrivato l’avvocato Luca Lanzalone, il legale genovese richiamato a Roma mercoledì per trovare una via d’uscita all’ultima sparata del comico leader: «Lo stadio non si farà, non a Tor di Valle». E con Lanzalone, a consigliare la sindaca, c’era anche Alessandro Sasso, 45 anni, architetto ligure, nato a Imperia, con studio a Torino. E’ il nome nuovo di questa storia e spiega: «E’ stato Beppe Grillo a chiamarmi. Mi ha chiesto di analizzare il progetto. Non trovando un accordo sulla costruzione, il rischio era quello di mettere in pericolo l’intero progetto». Grillo lo ha voluto, «consigliato» e messo a fianco della giunta. Virginia Raggi ha accettato, poi ha deciso. Sasso si è chiuso in Campidoglio, ha rivisto i progetti, dimezzato le cubature, tagliato le torri, «fatto a cazzotti» con molti funzionari. Così i grillini, per ora, si possono autoproclamare vincitori. E il costruttore Gaetano Caltagirone, il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e la Soprintendenza, sembrano i grandi sconfitti. Proclama finale: «I palazzinari sono avvisati, si può costruire, ma alle nostre condizioni». La guerra per rimettere le mani su Roma è appena iniziata.