(F. M. Magliaro) Parlando con la Soprintendente alle Belle Arti della vicenda dell’apposizione del vincolo sulle tribune dell’ippodromo di Tor di Valle emerge in maniera netta l’impotenza della Soprintendenza: di fatto oramai è un ente del «no». L’ esempio migliore viene quando si citano alcuni esempi di pessima gestione dei Beni culturali a Roma: palazzi storici in centro su cui vengono edificate sopraelevazioni, mosaici che scompaiono nel silenzio, fondi inesistenti per qualcosa che sia più di tubi innocenti messi per evitare crolli. Non ci sono soldi per fare progetti reali di valorizzazione e i funzionari sono pochi e non riescono a seguire tutti i dossier. Ma il potere di dire «no», quello resta invariato.
L’esempio di Tor di Valle è emblematico: si stanno gettando le condizioni per fare di Tor di Valle il fratello gemello del Flaminio. Se l’iter di apposizione del vincolo monumentale andrà davvero a buon fine, lì non si potrà toccare nemmeno un granello della sabbia su cui correvano i mitici King, Soldatino e D’Artagnan. E ha voglia la Soprintendente, a dire «abbiamo vincolato solo una piccola porzione e non è che non si potrà più far nulla, ma ogni progetto dovrà essere preventivamente approvato da noi». Il possibile futuro di Tor di Valle è l’esatta copia del presente dello Stadio Flaminio. Al di là delle belle parole, grandi intenzioni e proclami di fiducia, il Flaminio è già morto. Il vincolo lo ha soffocato. E questa sarà la stessa fine di Tor di Valle.
Poi, però, tornano alla mente le cose di cui la Soprintendenza non si è accorta. O, magari, se si è accorta, poi, ha dimenticato di intervenire. Ad esempio come quando venne costruito il centro commerciale Porta di Roma: di tutte le preesistenze archeologiche venne salvato solo un mosaico. Era stato messo al primo piano, all’ingresso, esattamente dove ora è collocata la reception. Ma il mosaico è scomparso. Non è dato sapere se è stato solo coperto. Ma la Soprintendente, quando le abbiamo chiesto se ne sapesse qualcosa, è caduta dalle nuvole. Magari è stato tutto comunicato, concordato e ora quel mosaico – lo stesso tipo di delfini che sono sul pavimento dell’Aula Giulio Cesare in Campidoglio – è al sicuro in qualche museo. La Soprintendente ha promesso che avrebbe allertato gli uffici per controllare. Tuttavia, sono almeno 6 mesi che di quel mosaico si sono perse le tracce.
Oltre a questo, poi, come dimenticare certe opere che sono state realizzate in pieno centro? Antichi palazzi nobiliari che cambiano nome, assumendo non più quello di storiche famiglie, ma quello di noti marchi di abbigliamento e moda. Il traffico, nelle stradine del centro, impazzisce in un’orgia di Smart parcheggiate in doppia e tripla fila, nella latitanza della polizia municipale. Ma nella latitanza sostanziale anche della Soprintendenza. Eppure la stessa Soprintendenza era anche quella che, quando venne decisa e progettata la riqualificazione di piazza San Silvestro, sotto la Giunta Alemanno che affido incarico all’architetto Paolo Portoghesi, si oppose a realizzare qualcosa che avesse un po’ di verde al posto dei capilinea degli autobus. Niente da fare: alberi non si potevano piantare perché nel centro non c’erano mai stati e avrebbero alterato la storicità delle zone centrali di Roma.
E come dimenticare i grandi interventi di tutela ambientale e paesaggistica quando venivano progettati i veri ecomostri di Corviale o delle torri di Tor Bella Monaca? Nessuno ricorda vesti stracciate da parte di Soprintendenti per palazzoni alveari dall’indiscusso ed evidente valore architettonico. Certo, i problemi di carenza di fondi e di personale inficiano in modo rilevante l’efficienza della Soprintendenza. Basti pensare ai lavori di Terna, in zona Esquilino. C ‘è voluto un anno abbondante, in via Bixio, per chiudere una buca. Oltre otto mesi, sempre all’Esquilino, per via Mamiani, dove venne rivenuta una stanza sotterranea. Ci sono ovviamente le cose positive: il Sitar, ad esempio. Ovvero il Sistema informatico territoriale archeologico romano: un progetto di informatizzazione di tutti gli scavi sia quelli archeologici che quelli fatti a qualsiasi altro titolo. Mettere tutto in un’unica rete: tubi, condotte, cavi e reperti archeologici. Tutti geolocalizzati e con misure precise. Il territorio dell’ex primo Municipio, cioè il centro storico, completo o meno al 100%. Per il resto della città si aspettano fondi e personale. Ma intanto alla Soprintendenza rimane il potere fondamentale di dire «no». Quello non glielo tocca nessuno.